Padre e Figlio, la mostra che da aprile a ottobre ha coinvolto Biella e Trivero, realizzata grazie all’impegno di tre istituzioni, Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto e Fondazione Zegna, è stata in grado di aprire un dibattito su un tema di particolare attualità andando oltre il significato specifico dell’esposizione, peraltro articolata e coinvolgente con una serie di opere raramente viste in altre circostanze. Ma ecco alcune riflessioni che nascono dal dialogo tra Ettore e Michelangelo destinate ad ulteriori sviluppi.
Lasciare un’eredità ai padri
Ciò che appare di particolare significato è l’azione di ribaltamento che supera ogni forma gerarchica. Il padre si modifica a contatto con il figlio creando una circolarità del pensiero di particolare attualità nella società di oggi ossessionata dalla rivoluzione tecnologica. Il sapere del padre (ma anche il suo non sapere), a contatto con il figlio, prende altre direzioni e a questo proposito lo stesso Michelangelo scrive: “Io ho fatto sì di sapere attraverso di lui ciò che lui ed io non sapevamo”. È un transfert che condiziona tutta la sua esperienza artistica, dove il padre appare continuamente presente come testimone di un passaggio.
La somiglianza
Michelangelo è anche un po’ Ettore: “Qualcuno mi ha detto che assomiglio sempre più a mio padre, infatti ho adesso l’età che lui aveva quando assomigliava a me. C’è un tempo che allontana e un tempo che avvicina. Mio padre è mancato, ma è tornato nella mia arte”, scrive Michelangelo nel 2008. La somiglianza, ancor più dell’identità, apre alla relazione con gli altri nella consapevolezza che, pur essendo noi stessi, non siamo mai gli stessi in una perenne trasformazione, come, del resto, avviene davanti allo specchio dove ogni istante è differente.
La presenza
Ettore e Michelangelo si trovano sui due lati del fiume e mentre il padre, per sua formazione, non può superarlo, il figlio approda verso nuovi lidi: “Egli ha fatto sì che io sappia attraverso lui ciò che lui non sapeva”, ha scritto Michelangelo, che nella sua costante relazione dialogica compie un’operazione concettuale complessa che nega la nostalgia o il ricordo come sentimenti legati ad una dimensione romantica idealizzata; non è nemmeno interessato a un rapporto semplicemente affettivo o di empatia con il padre (il quarto comandamento recita “Onora tuo padre e tua madre” e non comanda di amare) che riguarda, semmai, la sfera privata ed esclude che lui possa essere commemorato, imbalsamato, da parte del figlio molto più famoso. Ma il figlio, attraverso il padre, riesce a fare quello che lui non avrebbe mai immaginato di realizzare. Non si consuma, dunque, l’assenza del padre, ma la costante presenza, in base ad un’imprescindibile necessità di partecipazione e di comunicazione.
Il tempo
L’ipotesi di un ‘prima’ e di un ‘poi’ viene cancellata dai Quadri specchianti, che ci costringono a riconsiderare il passato e il presente come fattori tra loro connessi, indirizzati verso una prospettiva futura. Per proseguire, è necessario guardarsi indietro interrompendo la sequenza meccanica del tempo scandita dagli orologi: “Lo specchio apre davanti a noi l’estensione dello spazio in un continuo presente e, contemporaneamente, riflette noi stessi con tutto ciò che sta alle nostre spalle. Così, siamo anche portati a riflettere la memoria che ci segue”, afferma Michelangelo. La pittura di Ettore esce dalla dimensione mnemonica come ipotesi di un passato definitivamente superato e si riattiva a contatto con le opere del figlio, il quale è ben consapevole di un’esistenza strettamente connessa con quella del genitore. Come scrive Carl Gustav Jung in L’importanza del padre nel destino dell’individuo, il ruolo del padre è ancor più significativo rispetto a quello della madre favorendo l’emancipazione da quest’ultima e l’inserimento nel contesto sociale. “Da mio padre ho imparato la pratica del tempo, l’arte nel tempo”, afferma Michelangelo. Questo aspetto influisce profondamente sulla sua visione e i Quadri specchianti rappresentano l’incursione diretta del tempo, instabile e fluttuante, all’interno della rappresentazione mettendo in pratica ciò che in precedenza era stato solo teorizzato. Anche Ettore si è confrontato, in molte circostanze, con la quarta dimensione creando improvvisi sconfinamenti, non facili da prevedere in un artista fondamentalmente legato alla tradizione.
Autoritratto attraverso mio padre
Michelangelo nel 1973 si appropria di un ritratto a matita fattogli dal padre nel 1933, il suo primo anno di vita, all’età di tre mesi, per riprodurlo fotograficamente in un’opera emblematica intitolata Autoritratto attraverso mio padre (questo è anche il titolo del film prodotto in occasione della mostra). In tal modo crea un oggetto transizionale che diventa il punto di passaggio tra sé e il padre. Ribadisce, così, la propria inscindibilità con Ettore, inteso come mezzo per portare alla luce l’esperienza e farla conoscere: “Sono come mio padre avrebbe voluto essere, forse senza saperlo. Questo anche se, coscientemente, non avrebbe mai immaginato di voler essere quello che sono io. Ma io lo so per lui”, afferma Michelangelo. Si crea, pertanto, una relazione bidirezionale che è l’essenza dell’intero progetto espositivo così come dei Quadri specchianti. La memoria coincide con l’essere in un passaggio generazionale che non va verso la scissione, bensì verso l’integrazione delle esperienze. A tal proposito, l’antropologo Francesco Remotti nel suo ultimo libro Somiglianze. Una via per la convivenza (2019) introduce il concetto di condividuo che “apre la strada non solo alla molteplicità delle relazioni in cui è coinvolto, ma anche al carattere irripetibile o unico delle loro manifestazioni e delle loro combinazioni”.
La memoria del futuro
Dilatazione, concentrazione, espansione, prolungamento, dislocazione, sono alcune delle questioni affrontate da Michelangelo durante la sua lunga carriera artistica. “Ho caricato di memoria il futuro”, spiega lui stesso. Che non si attui mai un superamento definitivo, lo conferma l’installazione ambientale Padre, figlio e creatività, realizzata per la prima volta dalla galleria Stein di Torino nel 1975 e ripresentata a Cittadellarte in occasione della mostra Padre e Figlio. In questo lavoro Michelangelo utilizza due sostantivi, ‘padre’ e ‘figlio’, che entrano in relazione con l’atto creativo. Su ogni porzione di muro che sovrasta ciascuna apertura tra le stanze, pone la parola ‘figlio’ scritta al di sopra di ogni entrata ripetendola fino alla soglia che conduce oltre l’ultima stanza. Questa volta, però, “nel riflesso, sarà la parola ‘padre’ a proseguire di stanza in stanza. Così noi abbiamo, in virtù di quella settima soglia, la possibilità di vedere sia la nostra andata, che il nostro ritorno”. Attraverso lo specchio si viaggia nei due versi e, all’improvviso, i termini si sovrappongono, come se il significato dell’uno sostituisse l’altro e fosse impossibile trovare un’unica direzione. Padre e figlio si possono accettare, scontrare o detestare. Ma c’è un punto di non ritorno dove, per essere se stesso, ciascuno dei due è l’altro.