Nel giugno del 1985 Pistoletto espone presso la Galleria Persano di Torino un gruppo di opere costituite da superfici e volumi in materiale anonimo, dai colori scuri e cupi, e a cui l’artista si riferisce, nel testo pubblicato sul catalogo, anche con l’espressione “arte dello squallore”. Si tratta di un ciclo di opere, prodotte tra il 1985 e il 1989, utilizzando i grandi blocchi di poliuretano usati per le sculture, ricoperti di tela e dipinti. Nella mostra Immagine, tenuta a Roma presso la Galleria Pieroni nel 1989, Pistoletto presenta, in forma di riproduzione fotografica su grandi pannelli di legno, le immagini di alcune di queste opere esposte in diversi luoghi negli anni precedenti, evidenziando, attraverso la bidimensionalità della fotografia, la commistione di pittura e scultura che caratterizza questo gruppo di opere.
Vi proponiamo, di seguito, i testi di Michelangelo Pistoletto Quarta generazione – Poetica dura e Immagine.
Arte dello squallore, 1985
Materiale anonimo su tela, 250 x 180 cm
Fondazione Pistoletto, Biella
Foto: P. Pellion
Quarta generazione – Poetica dura
Arte dello squallore, arte parassita, della mortificazione. Superficie della desolazione, superficie ottusa.
Un’arte repulsiva che non rappresenta niente. Arte repressa, come i paesi dove non c’è arte. Arte che toglie, arte che schiaccia, arte livida, arte squallida, uno squallore che è solo dell’arte. Squallore delle cose senz’arte, arte che asporta, arte che rende duro l’occhio e il pensiero.
Un’arte immobile, vischiosa, sfiancata.
Grigiume, nerume che va nel giallume.
Massa di idee tritate, di oggetti triturati, di significati maciullati, macerati, ammollati e compressi.
Frantumi di strumenti e di concetti: polvere stellare, schiuma cosmica, lava meteoritica, ghiaccio siderale.
Fontane di colate grigiastre.
Pittura su volume, 1985
Materiale anonimo, 370 x 54 x 102 cm
Fondazione Pistoletto, Biella
Foto: P. Pellion
Spessori idioti di un’arte schiacciata e sbavata, faticosa come un parto. Arte senza peso e senza strumenti.
Ma lorda come il brulicare di un’umanità disgustosa.
Un’arte codarda e grave che raggiunge il massimo di distanza e il massimo di lentezza senza lasciarsi sfiorare né dall’infinito né dall’immobilità. Il moto è lento come quello catastrofico dell’universo.
Alla rapidità del movimento ravvicinato, alla violenza della trasformazione, alla velocità del cambiamento nelle distanze ravvicinate, subentra la lentezza delle grandi distanze.
E la percezione della contemporaneità, al di là del tempo-spazio.
Eterocontemporaneità
endocontemporaneità
incorporeacontemporaneità.
Rossonerastro, 1985
Materiale anonimo su tela, 230 x 245 cm
Foto: P. Pellion
Figure bagnate dalla luce nera di miliardi di anni ombra, piombate in un pianeta troppo colorato dalla natura troppo ricca, troppo creativa. Madre dello spreco. Troppa luce che acceca, troppa illusione.
Arte dello squallore, teatro dello squallore e dell’eroismo ostinato, logorante. Schiaffo secco sul duro, polvere appiccicata, colore fiaccato.
Massa vile tinta di colore vile, massa nobile tinta di colore vile.
Sipario grigio, tende dimesse.
Visione letterale del sentimentale, letterale come la volontà mortificata, come la dignità degradata, come la verità offesa; senza altro riscatto che lo squallore.
Arte dello squallore come unico impegno, come unica possibilità, come unica forza, come unica attività.
Prigione come unico luogo di libertà e soltanto la lentezza lucida, sfumata della distanza.
È la consistenza di un volume forzato.
È la velocità della tela che troviamo allontanandoci dallo specchio.
Abbiamo raggiunto la velocità della tela, cioè la sua lentezza.
La lentezza delle grandi distanze nel colore intriso di squallore, che non è finzione ma è spessore.
Energia sotterranea di cieli densi nella profondità del mare; senza soluzione di continuità.
Piatto agli occhi, oscuro, rossiccio, lontano da tutto e da tutti; solo.
Un terribile distacco, una definitiva alterità, una fredda morbidezza.
Un’errata angolosità, una forma insipida e, silenzio.
Silenzio venato, silenzio strisciato e torpore tiepido.
Schiumetta e tela intrisi di stucco.
Volume basso, febbraio 1985
Materiale anonimo, 100 x 130 x 90 cm
Fondazione Pistoletto, Biella
Foto: A. Maranzano
Scultura nera di figure calate nei catrami dello squallore, dai contorni lavosi.
Arte senza decoro, arte senza dolo, impatto sordo di un volume vagamente sciocco.
Non tornano i conti, quadrato che non quadra, cubo che non cuba, parallelepipedo dispari.
Una mano troppo grande, una spalla troppo astratta.
Dal limbo di un pozzo profondo come il vuoto viene lo squallore che plasma le figure che guardano nel pozzo.
La fontana luminosa di un cattivo pittore, gli oggetti in meno di un’arte deludente, l’infinita polvere dello squallore brillante sul quadrato di mica.
Il rifiuto di un metro cubo. E i giganti a più stadi sotto la cupola di ogni tempio, figure torte che tornano a se stesse. Maschi che montano.
Il secondo viaggio lontano l’ho fatto nel tempo dove si ricompone la scultura. La Venere interrotta. Il terzo viaggio va più lontano.
Il primo viaggio era vicino, molto vicino allo specchio. Era il cambiamento rapido, la mutazione degli stili alla velocità della percezione. Ora anche la persona dipinta sulle superfici, ora anche le persone tornano sullo specchio, con piccoli piccolissimi cambiamenti. Fra l’uno e l’altro quadro c’è la differenza di un gesto.
Poco movimento, è la lentezza della pittura di cui sono fatte queste figure.
Come la sequenza del contadino che brucia la memoria.
Il tempo dello specchio, 1986
Veduta dell’installazione al Centre National d’Art Contemporain/Magazin, Grenoble, 1986
Specchio, cm 450 x 320 Carboncino su carta, complessivamente 680 metri quadrati circa.
Opera realizzata in situ dall’artista durante la mostra.
Foto: P. Mussat Sartor
Dal finestrino di un treno in corsa vediamo la siepe passare a velocità vertiginosa, le case un po’ più in là sono gli oggetti in meno, un controllo veloce.
Poi le colline più lente in distanza e lontano le montagne immobili.
Ci esprimiamo a queste distanze con queste velocità. Dalla velocità degli oggetti vicini alla lentezza dello squallore lontano.
Le grandi catastrofi sono piccoli punti sbiaditi sulle tele, piccoli incidenti. Le presenze scomparse sono rimaste lì davanti agli occhi, trasportate al ritmo lento dei secoli. E ci guardiamo nello specchio del tempo che è il nostro autoritratto di stelle.
Il languore di una fame universale, la fatica che cerca il suo sonno, ovunque. L’idea assurda di una rovina che non esiste, c’è solo rovina, la rovina complessa e raffinata che produce il sangue nelle vene. Che trasforma le pietre in sassi, il cielo in tramonto e la parola in squallore.
Pubblicato per la prima volta nel catalogo della mostra “Michelangelo Pistoletto. Quarta Generazione”,
Galleria Giorgio Persano, Torino, 1985.
Immagine
La dimensione dei lavori in mostra è costituita dalla distanza che li separa dai precedenti ingrandimenti fotografici, realizzati nel 1969. Allora si trattava di gigantografie degli “Oggetti in meno” nati e fotografati a partire dal 1965. Adesso, nel 1989, si tratta dell’ingrandimento fotografico dei “Volumi” nati e fotografati a partire dal 1985. Sono date che oltre ad indicare due fine-decennio collegano un ventennio.
Questa mostra, intitolata “Immagine” si inserisce nell’Anno Bianco, che ho aperto con un primo annuncio nel gennaio 1989. Dunque essa è un punto nella trama degli avvenimenti che danno la forma del tempo al mio lavoro.
Visitare la mostra in galleria è come sfogliare un catalogo o una rivista d’arte, pagina per pagina. I lavori che precedentemente invadevano l’ambiente ora sono appiattiti, stampati ed allineati lungo i muri. Si sono trasformati in immagine. È una condizione chiara, inevitabile. L’arte crea immagine. Anche se non vuole.
Distanza, 1988
Materiale anonimo, tre elementi, cm 300 x 1680, cm 300 x 498, cm 300 x 1000
Installazione Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden 1988
Fondazione Pistoletto, Biella
Foto: P. Scönborn
Anche se non vuole essere rappresentativa. I mezzi d’informazione e di diffusione producono inesorabilmente la trasformazione dell’opera in immagine, qualsiasi essa sia. Questo fenomeno conduce implicitamente ed automaticamente ad una doppia risultanza: la mitizzazione del prodotto artistico, da una parte e la consumazione dello stesso prodotto, dall’altra. II media moderno perpetua il mito dell’arte quanto ne determina il superamento.
Di conseguenza la dualità che decreta la vita o la morte dell’arte è divenuta 1’incidenza cruciale che si ripropone istante per istante.
E poiché l’arte vive nella complessa struttura civile mi pare evidente che lo stesso fenomeno si ribalti nella
società.
Questa che potrebbe essere una fragilità, un segno preoccupante, è invece la forza della civiltà occidentale, poiché essa ha modellato la sua crescita culturale ed economica nel continuo rilancio della propria immagine.
L’immagine ha costituito da sempre lo stacco necessario alla ricreazione del bene fisico.
La civiltà dell’immagine è vincente su tutti i fronti e di conseguenza fagocita ogni altra cultura. I mezzi di cui dispone sono tali da imporre a chiunque la morte senza che nessuno possa evitare di diventare immagine.
Immagine-Poetica dura (Quarta generazione), 1989
Fotografia e legno, 11 elementi, ciascuno circa cm 200 x 180
Installazione Galleria Pieroni, Roma 1989
Fondazione Pistoletto, Biella
Foto: A. Maranzano
Le iconoclastie che oggi si rifugiano nell’astrazione artistica e le rivolte artistiche che si rifugiano nell’iconoclastia agiscono su un piano di monovalenza; dunque non possono più esercitare una efficace opposizione al potere dell’arte bivalente. La parola diventa immagine, il segno diventa immagine, l’architettura diventa immagine, il colore diventa immagine, la fuga dall’immagine diventa immagine.
L’immagine perciò è l’una e l’altra cosa. Essa poteva apparire monovalente quando su di un affresco, un quadro o una statua evocava un solo dogma, un solo aspetto delle cose e un solo momento. Ma da quando il quadro diventa specchiante non ci possono più essere dubbi: è bivalente.
Immagine-Poetica dura (Quarta generazione), 1989
Gabbia in ferro, monitor, videotape, cm 203 x 136 x 60
Installazione Galleria Pieroni, Roma 1989
Fondazione Pistoletto, Biella
Foto: A. Maranzano
Se nei “Quadri specchianti” astrazione ed immagine coincidono, così come il concetto e la realtà, se nei quadri specchianti si perpetua il procedimento di autocreazione e autoconsumazione dell’immagine, come pure del tempo e dello spazio, nei quadri specchianti anche gli iconoclasti trovano la via d’uscita (o di entrata) appropriandosi dello specchio, prima come materiale, poi come medium bivalente. I volumi della mia “Quarta generazione” diventando fotografie continuano il processo rivolgendolo al1’interno dell’arte, lo rendono proprio, riflettono le realtà dell’arte coincidendo con i mezzi del mondo. Senza tradursi in finestre sull’esterno. La portata critica per me deve inserirsi nella lucidità della visione e nella capacita di scomporre, dividere, sezionare, moltiplicare i piani in modo da rendere agibile anche lo spessore della storia e percorribile lo spazio aperto nella nuova dimensione.
Pubblicato nel catalogo della mostra “Immagine”, Galleria Pieroni, Roma, 1989.