“Coltiviamo il desiderio di imparare”: lo sguardo di Paolo Naldini al 2024 di Cittadellarte fra pace preventiva, scuola e demopraxia
Intervista al direttore di Cittadellarte: Naldini, non risparmiando incursioni nell'attualità, riavvolge il nastro dell'anno che volge al termine con un'esplorazione introspettiva del mosaico degli avvenimenti e delle progettualità che hanno costellato, caratterizzato e dato linfa creativa alla Fondazione Pistoletto. "Solo stando nella situazione dinamica dell'apprendimento - ha affermato - potremo ritrovare un bilanciato accordo vitale e generativo col pianeta".

Quando si ha l’intenzione di cominciare qualcosa di nuovo il nostro sguardo è proiettato al futuro. Il passato prossimo, nella mente, diventa all’improvviso passato remoto, qualcosa da dimenticare, lontano nel tempo. L’attenzione è più sul traguardo che sul punto di partenza. Si tende così a generare una consapevolezza ingannevole: la strada per arrivare al via è già nel dimenticatoio, i buoni propositi iniziano domani (non oggi, per carità). Per intraprendere un nuovo percorso, però, non può mancare un bilancio olistico e introspettivo di chi siamo stati. E quale grande percorso accomuna chiunque se non il passare degli anni che segna lo scorrere del tempo come capitoli della vita? Sulle pagine virtuali del nostro Journal, ogni dicembre, riviviamo i dodici mesi trascorsi dando voce a chi dirige la Fondazione Pistoletto. L’intervista a Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, diventa l’occasione per condividere e riflettere sulle progettualità e l’operato della realtà artistica, ma anche su temi di stringente attualità che collimano con la contemporaneità culturale della Fondazione. Riavvolgiamo la clessidra.

La parola dell’anno, secondo l’Oxford Dictionary, è brainrot. Il termine, che significa letteralmente cervello marcio, fa riferimento al senso di stanchezza mentale, ai limiti dell’apatia, che si prova dopo aver passato ore a visionare contenuti brevi sui social che generano gratificazione istantanea, seppur effimera. In questa attualità segnata dall’ipertrofia digitale, la componente emozionale risulta ineluttabilmente sopita. Nel mondo offline, che cosa può ridestare l’attenzione sociale suscitando meraviglia e stupore?
La circolazione per me è la risposta alla congestione che viviamo in tantissimi dei nostri ambiti di vita, compreso, come da tua domanda, quello del sovraccarico di informazione e stimolo che i social media comportano. Nell’espressione che hai citato si fa giustamente riferimento alla congestione emozionale neurologica che l’utilizzo dei social porta. Mi immagino dunque che la parte della nostra persona che opera prevalentemente il livello emozionale venga esposta a una scarica di stimoli estremamente veloce e rimanga dunque come schiacciata sotto questa cascata senza poter far fluire l’energia, l’intelligenza e la bellezza che gli stimoli portano con sé nei circoli ampi, complessi, generosi e generativi che possediamo. Quando quindi la sfera emozionale viene messa nell’impossibilità di far fruire questa energia si ha una doppia problematica: la prima è questa condizione di brainrot, di sovra-stimolazione, e quasi di tilt come in un flipper, ma anche, nello stesso tempo, manca l’attivazione delle altri componenti o sfere della nostra vita e personalità. Penso, in particolare, a quella della rielaborazione personale, cosciente e inconscia, che sono centri la cui buona connessione tra loro e la sfera emozionale e istintiva della vita – così come tra quella energetica e motoria – assicurano un buon equilibrio creativo, dinamico e vitale. Ma se uno dei nostri centri, come quello sottoposto al brainrot del social media, non riesce più a fare circolare energia e informazioni in un flusso che attraversi il più ampiamente possibile la totalità delle nostre aree di vita, si genera una condizione di congelamento, di sclerosi.

Come poter dunque riattivare questa circolazione?
Credo che non sia sufficiente una limitazione degli stimoli – seppur necessaria – ma che si debbano trovare metodi per connettere emozione, elaborazione, razionalizzazione e ritorno all’emozione, all’istinto, così come al corpo e alla dimensione motoria con la quale traduciamo pensieri. Sono convinto dunque che qui ci siano le infinite possibili soluzioni ai problemi di congestione di ogni genere, compreso quello del brainrotting da social media: attivare la circolazione dell’energia vitale in tutti gli ambiti che costituiscono la nostra dimensione personale
Ritengo che, in qualche modo, questo si posso anche portare alla dimensione sociale: un’organizzazione della società vitale e generativa sarà allo stesso modo fondata sulla circolazione delle energie, delle onde e delle particelle, che nella metafora sono dunque le persone e le informazioni che esse producono. Questo da intendere da un ambito a un altro, dagli spazi della ricerca scientifico-tecnologica a quelli della creazione artistica, da quelli delle espressioni corporee agli attraversamenti degli spazi naturali e artificiali fino alla possibilità di esprimere e conoscere le profonde pulsioni che sono alla base della nostra vita sociale, ma anche il bisogno di protezione e relazione. Penso infine che l’arte possa essere sia a livello personale sia a livello sociale la cura più efficace per affrontare ogni tipo di congestione, come quella da cui sei partito.

Sulla scia della domanda precedente, qual è stata invece la parola dell’anno per Cittadellarte?
Più che una parola penso a diversi termini che insieme, forse, ci danno un’indicazione come quella che l’Oxford Dictionary vuole proporre. Penso alla pace preventiva, come risposta agli orrori della guerra e del genocidio non solo in Palestina, ma anche in Ucraina, in Sudan e negli altri Paesi le cui popolazioni soffrono questa maledizione da cui non riusciamo a uscire. La pace preventiva è l’unica strada veramente efficace per prevenire la guerra. Solo dalla pace può venire la pace, dalla guerra non viene altro che guerra. Ma poi penso a un altro termine, che è il ritorno, in particolare il ritorno alla scuola: lo abbiamo vissuto in prima persona con la reunion dei 25 anni di UNIDEE Residency Programs, ma è una pratica che dovremmo fare tutti e spesso. Mi riferisco, nello specifico, al ritornare alla condizione spirituale del ritrovarsi per apprendere e per conoscere. Nel mondo, tutte le culture umane e non umane impegnano tantissime risorse per trasmettere alle nuove generazioni le basi della cultura con cui vivere nel mondo stesso. L’accelerazione delle dinamiche con cui viviamo e l’estrema riduzione delle distanze rendono oggi indispensabile assumere la condizione dell’imparare – nella quotidianità – ogni nostra attività, che sia il governo di una famiglia, l’amministrazione di un’impresa, la conduzione di uno stato nazionale o di un’organizzazione sovranazionale. Solo stando nella situazione dinamica dell’apprendimento potremo ritrovare un bilanciato accordo vitale e generativo col pianeta.

Proseguendo su questa linea, nuovi termini chiave non potranno che emergere nel corso delle prossime risposte. Arriviamo dunque alle fondamenta: la mission di Fondazione Pistoletto, ossia ispirare e produrre una trasformazione della società in senso responsabile. Paolo, come direttore di Cittadellarte, che responsabilità senti di avere?
Quella di organizzare uno spazio vuoto, libero, ma nello stesso tempo continuamente pieno e responsabile. Troppo spesso l’organizzazione delle anche migliori idee può diventare un esercizio concentrato primariamente su se stesso. E troppo spesso lo stare nella situazione può diventare un’occuparla. La mia responsabilità, non solo mia ma come direttore, la sento direttamente, è appunto nel rinegoziare ogni giorno i modi dello stare a Cittadellarte, nel costituire la civitas dell’arte, nel diffondere il pensiero di Michelangelo Pistoletto, ma anche, nello stesso tempo, nell’elaborare un nuovo pensiero, nel costituire una nuova realtà, nell’offrire – citando lo stesso Pistoletto – un’eredità ai padri, esercitando creazione e mai soltanto pura riproduzione.

Sono stati 12 mesi ricchi di incontri, eventi e mostre per Cittadellarte. Citiamo, per esempio, il Rebirth Forum a Ginevra, Arte al Centro con i 25 anni di UNIDEE Residency Programs, T3rza Terra a Villa Manin, l’Art Field Nanhai in Cina con il Terzo Paradiso e la mostra Fashion to Reconnect. Queste progettualità che consapevolezza hanno contribuito a generare?
La consapevolezza è che non solo la demopraxia esiste già, ma che la sua necessità è sempre più diffusa. Mi ha colpito profondamente che attraverso l’arte della demopraxia sia stata cambiata una costituzione del cantone ginevrino, nel cuore dell’Europa, nella città delle Nazioni Unite. È stata per me la più potente prova che l’opera demopratica può ottenere risultati non solo concreti e reali, ma anche al di là di ogni nostra previsione. Si tratta cioè del perfetto algoritmo dell’intelligenza collettiva, che unisce l’intelligenza naturale a quella artificiale, riunendo gli umani in un processo collettivo di creazione e responsabilità.

Si avvicinano le festività natalizie. Al di là di possibili controversie consumistiche, limitiamoci a un parallelismo legato a una delle usanze della ricorrenza: nel 2024, qual è il dono che credi di aver fatto a Cittadellarte e quale dono Cittadellarte ha fatto a te?
Cittadellarte mi offre un dono estremamente prezioso, che è di potermi impegnare a creare insieme a delle figure straordinarie. È un luogo in cui realmente, ogni giorno, incontro persone la cui energia vitale è per me contagiosa, meravigliosa e nutriente, al punto che mi chiedo spesso come possa il resto del mondo affondare nella distruzione, nella noia e nella mancanza di vita. Per quello che vale, io voglio offrire a Cittadellarte semplicemente e onestamente il mio mettermi in gioco.

Nell’intervista di fine anno del 2021, alla mia domanda “Come vedi Cittadellarte tra 1 e tra 100 anni?”, tu, prendendo un estratto della risposta, replicasti sottolineando che “nel breve periodo miro a rafforzare la struttura della nostra scuola ad ogni livello del percorso educativo fino, e non per ultimo, a quello della formazione continua che le imprese e le organizzazioni di ogni tipo devono mettere in conto ogni anno, sempre di più e per tutti i loro componenti, iscritti e collaboratori. Nel medio pianifico un campus che integri al proprio interno tutte le costituenti della vita umana, dal cibo al vestire, dalla politica alla spiritualità, dalla tecnologia alla scienza, e che sia in continuo rapporto di interscambio, di intelligenza, ricerca e contributo con il territorio circostante e con il resto del mondo a livello globale”. Queste tue riflessioni di tre anni fa sono attuali o si sono evolute nel tempo?
Rimangono attuali: abbiamo fatto passi avanti, imparato lezioni, ottenuto risultati e compreso che la strada è lunga, ma sempre più chiaramente definita e, con sempre più convinzione, la stiamo percorrendo.

Cittadellarte, in un costante flusso di eterogeneità, anche quest’anno si è intrecciata e connessa con realtà di ogni ambito del tessuto sociale, a livello locale e globale. In conclusione, che augurio o messaggio ti senti di rivolgere a chi ha dato forma e linfa alle attività di Cittadellarte? Dai cittadini ai visitatori e dalle aziende fino alle istituzioni che hanno collaborato con la Fondazione…
Lo stesso augurio che rivolgo a me stesso: coltivare il desiderio di imparare e di buttarsi, facendolo insieme a ogni persona, animale, pianta o cosa con cui sia abbia la ventura di connettersi.