Sono arrivata all’aeroporto della Havana, sono le 17:40 del 6 settembre 2018. Il volo è passato sorprendentemente veloce, tra un pacchetto di taralli alla paprika e un succo di pomodoro condito, drink che tra l’altro, per qualche strano motivo, ho voglia di bere solo durante viaggi in aereo.
Scesa dall’aereo vengo investita da una pesante ondata di aria calda e umidissima. L’aeroporto è un edificio modesto, grigio-rossastro, che pare un magazzino di sottaceti invenduti e senza speranza di esserlo mai.
Claudia Gonzàlez, che diventerà poi, durante la mia permanenza qui, la mia guida, amica e ispiratrice, mi aspetta agli arrivi; ci guardiamo vagamente e capiamo di essere l’una la persona che sta cercando l’altra. Ci conosciamo, già ci stiamo simpatiche, e chiacchierando saliamo sul bellissimo “almendron” rosso, termine usato per indicare macchine d’epoca americane, mentre David, autista e amico del gruppo terzo paradiso di La Havana, ci ascolta e guida.
Il viaggio dall’aeroporto alla mia home-to-be per queste 3 settimane dura una trentina di minuti. Attratta dalla pienezza delle strade, dal colore verde predominante lungo i viali, dal continuo movimento e dai visi dei miei futuri concittadini havaneri, guardo fuori dal finestrino e ascolto Claudia che mi racconta del suo mondo.
Arriviamo a Playa, il quartiere in cui vivrò, ospitata da Caruca e Marianela, rispettivamente nonna e mamma di Laura Redondo, collaboratrice di Terzo Paradiso che ha mediato il mio viaggio a Cuba, rendendolo possibile.
Il giorno dopo il nostro programma è cambiare gli euro in denaro cubano, il quale si divide in due monete, Cuc, o dollari Cubani, e Cup, pesos Cubanos, la moneta nazionale. Un Cuc equivale a 26 Cup. Devo anche comprare una sim cubana e una “tarjeta” per la connessione internet, presente solamente in alcuni parchi e hotels, dopodiché andremo a pranzo con Gaby Pais, compagnera di Claudia nel progetto Terzo Paradiso. Al “banco del cambio” non c’è disponibilità di euro, essendo che ogni banconota che esce dal banco arriva della strada, dai cubani, dalle loro attività e dai loro scambi. Abbiamo quindi rimandato al giorno dopo, incamminandoci verso l’ufficio Etecsa, l’unica impresa cubana di telecomunicazioni. Davanti all’entrata dell’ufficio una fila di 100 metri si distende senza timore, quasi prepotente, fiera di essere una fila di tali dimensioni. Il sistema era collassato. Niente sim cubana, almeno non per oggi.
Durante il pranzo Claudia e Gaby mi spiegano che la costituzione stabilita nel 1976 cambierà presto apportando il riconoscimento delle coppie omosessuali, la presunzione di innocenza nei processi e la proprietà privata. Proprio in questi giorni i cittadini cubani stanno formulando le proprie proposte; si incontrano durante assemblee di quartiere, si confrontano. Claudia mi racconta di una donna anziana del suo quartiere che durante uno di questi incontri, alla domanda “cosa non funziona a Cuba?”, ha alzato la mano e sorreggendosi sul bastone si è alzata, dicendo: “A mi me molestan los pajaros!”, “a me danno fastidio le checce.” Mi raccontano dell’accordo migratorio statunitense “piedi asciutti e piedi bagnati” – indetto nel 1995 e annullato da Barack Obama poche ore prima delle sue dimissioni-: chi è catturato in mare viene respinto, chi tocca la terra ferma ha diritto all’asilo negli Stati Uniti. Mi raccontano di loro conoscenti che hanno intrapreso questa traversata illegale verso le coste del paese in cui i sogni sono realtà e mi raccontano di come, a 7 miglia dal continente americano, la guardia costiera li avesse trattenuti per giorni, in situazioni disumane, aspettando altre barche, altri cubani da riportare in patria. Mi raccontano del valore culturale e simbolico del lungo muro eretto sulla costa della Havana, “El Malecòn”, del senso di protezione che conferisce ai cittadini, della sensazione di isolamento che gli impone.
Oggi è il 10 settembre. Claudia ed io andiamo in galleria Arte Continua, situata nel Barrio Chino della Havana. Dopo avermi introdotta allo spazio della galleria (l’ex cinema Aguila de Oro) e alla mostra della galleria, la direttrice Luisa Ausenda ci porta a pranzo nell’ultimo ristorante cinese “autentico”; qua ci racconta di come tre anni prima fosse arrivata all’Havana sola, da Istanbul, dove lavorava per una galleria di arte contemporanea. È entusiasta, parla velocemente e con chiarezza raccontandoci della prossima mostra e del progetto artistico partecipativo che sta intraprendendo. Dal 22 settembre 2018 la galleria ospiterà la mostra “¿Còmo està el agua?“, costituita da installazioni visive e sonore di 9 artisti Cubani. Lo stesso giorno si inaugurerà il programma PASE, poesia, arte y sonìdo esperimental.
In giornata, nel pomeriggio, Luisa ed io andiamo ad un happening parte del progetto culturale “San Isidro, Distrito de Arte” nel quartiere San Isidro. Troviamo artisti, musicisti cubani, abitanti del quartiere, performers, un’etichetta di abbigliamento chiamata “Clandestina”. Sono tutti riuniti nella piazzetta principale del Barrio e fanno serigrafie su magliette, body painiting. Bevono succo di frutta da un carretto con frigorifero usato pochi secondi fa da Martica Minipunto durante la sua grintosissima performance. Il pomeriggio si trasforma in sera e un grande palco viene montato e installato al centro di questa piazza costeggiata da palazzi ottocenteschi fatiscenti. I musicisti accordano i loro strumenti e lo spettacolo ha inizio.
(Fine prima parte – Per la seconda parte cliccare qui)