Intervista a Raymundo Sesma #2 – Il rapporto con Michelangelo Pistoletto e il progetto di Advento
Proponiamo la seconda puntata di un'intervista a tutto tondo a Raymundo Sesma, realizzata dall'ambasciatrice Rebirth/Terzo Paradiso Marcela López Enríquez e dall’architetto e curatore Fortunato D’Amico. Un dialogo - in italiano e spagnolo - da cui emergono il pensiero, le contaminazioni con altre figure chiave della sua vita e l'identità artistica di Sesma.

Raymundo Sesma: qual è il suo passato? E la sua formazione? Quali viaggi e incontri hanno contaminato e dato forma alla sua ricerca artistica? Marcela López Enríquez, ambasciatrice Rebirth/Terzo Paradiso, e Fortunato D’Amico, architetto e curatore, propongono una ricca e profonda intervista all’artista, dando voce al suo passato, al suo presente e al suo futuro. Ecco il secondo ‘episodio’ in lingua italiana e spagnola del loro confronto (per visionare la prima puntata cliccare qui).

FD: Di cosa parla questo libro?
RS: È un libro che rappresenta un omaggio a mio padre che era cieco e morì nel 1981. Il volume fu successivamente presentato al Museo Georges Pompidou, nel 1988, e nel 1990 al Museo Calouste Gulbenkian di Lisbona. Sviluppai un metodo in braille, con il quale realizzai altri tre libri per non vedenti, poiché come capirai loro hanno pochissime possibilità, bibliograficamente parlando, di accedere ai libri d’arte. Il testo si riferisce a una persona che ha vissuto nel tempo, dall’età della pietra, riferendosi ad Altamira, ai giorni nostri. In quel momento descrive il suo stupore nel vedere per la prima volta i bisonti. Come ti puoi rendere conto, nel carattere e nel lavoro di Borges l’atemporalità è molto accentuata. Quella sua caratteristica mi ha segnato profondamente. E grazie a questo libro ho conosciuto il critico e storico dell’arte francese Serge Fauchereau, che ha poi scritto in varie occasioni in relazione al libro che ho fatto con Octavio Paz, dove Octavio scrive: “C’è luce, non la tocchiamo né la vediamo, nelle sue vuote chiarezze riposa ciò che vediamo e tocchiamo, sento il battito della luce dall’altra parte!”
Posso dirti che dopo aver letto queste righe non puoi non amare la poesia, è un paragrafo che ti fa capire l’importanza della cultura generale in un artista, poiché tutto è importante, tutto è soggetto e pretesto, come porta d’ingresso. Ho conosciuto Octavio Paz grazie all’artista Ambra Polidori, mia moglie. In quegli anni realizzai altri libri, ad esempio con Giuseppe Pontiggia, Premio Strega, uno dei più importanti premi in Italia, e con Roberto Sanesi, poeta della scrittura automatica influenzato dai futuristi. Questo è un altro argomento molto interessante. Un movimento che ha rivoluzionato il modo di pensare l’arte. In Messico esistono importanti contributi, come lo stridentismo, che in qualche modo influenzò anche Siqueiros. Per me Milano ha significato incontrare l’arte, non solo del Novecento, ma anche assieme a tutta la cultura medievale, rinascimentale. Che dire, ad esempio, di Piero della Francesca. Ricordo un suo concetto molto importante che si riferisce alla pittura, in cui afferma che la tensione tra due cipressi dipinti è più importante della pittura dei due cipressi. Esistono analogie concettuali di Piero della Francesca con la cultura buddista shintoista, ad esempio, e con la cultura huichol in Messico. Nella mia ricerca personale ritengo, in qualche modo, che l’artista sia predeterminato a vedere e mettere in relazione il proprio io interiore con il sé esteriore. L’arte dopo tutto è una sorta di cordone ombelicale dove il passato si lega al presente; nulla nasce dal nulla, creiamo in base a quanto già costruito, passo dopo passo, momento per momento, costruiamo il nostro lavoro in senso dialettico, dove tempi e idee si coniugano e si incontrano.
Un altro artista che è importante capire è Velázquez. Quando stava dipingendo Las Meninas nel palazzo, arrivò il re, entrò nello studio e vide alcuni manichini che rappresentavano i personaggi che stava dipingendo. Il re gli chiese scherzosamente se uno di quei burattini fosse lui. Velázquez, vedendo l’espressione del re, gli disse: «Maestà, è un onore ricevere la sua visita, mi permetta di dirle qual è la mia intenzione nel realizzare quest’opera». Poi Velázquez andò alla finestra, l’aprì e in quel momento il re cercò di avvicinarsi, ma lo fermò prima che la raggiungesse: «Mi spiego: può descrivere cosa c’è fuori?» Il re, seguendo il gioco, iniziò a descrivere ciò che accadeva fuori: «… esercitazioni militari, bambini che giocano, un cuoco, e così via». Descriveva tutto ciò che accadeva fuori senza vederlo, usando i suoi altri sensi; ma il re ancora non capiva cosa volesse dirgli l’artista. Allora Velázquez gli disse che la sua intenzione durante la realizzazione del dipinto era che i protagonisti principali fossero il re e sua moglie, indipendentemente dal fatto che non apparissero in primo piano. Fu così che Velázquez dipinse il re e la regina nel riflesso dello specchio, sullo sfondo. Si tratta della prima volta nella storia dell’arte in cui un elemento assente diviene presente e si include la costruzione come composizione —comprese la geometria e la matematica— facendo di quel dipinto oggi, dopo tanto tempo, un capolavoro tanto attuale quanto lo fu al momento della sua creazione.
Questo è un esempio di come l’arte –attraverso questi incontri– trascende il suo momento storico e di come l’esperienza in prima persona è così importante nella formazione di un artista. In Messico, sebbene esistano altre possibilità, personalmente uno dei limiti è stata proprio l’istruzione; trovare professori che ti parlassero di storia dell’arte, di opere che non avevano mai visto. Il sistema educativo trattava la storia cominciando dall’inizio e risalendo verso i nostri giorni. Oggi, essendo così vasta, credo che ci costringa a studiarla dal presente verso il passato, poiché in qualche modo il presente contiene il passato.

FD: ¿De qué trata este libro?
RS: Fue un libro que representó un homenaje a mi padre el cual era invidente y falleció en 1981. Libro que sucesivamente se presentó en el Museo Georges Pompidou, en 1988 y en 1990 en el Museo Calouste Gulbenkian en Lisboa.
Desarrollé un método en braille, con el cual he realizado otros tres libros para invidentes, ya que comprenderás que ellos tienen muy pocas posibilidades, bibliográficamente hablando, de acceder a libros de arte. El texto se refiere a una persona que ha vivido a lo largo del tiempo, desde la época de las cavernas, refiriéndose a Altamira, hasta la época actual. En ese momento describe su asombro al ver por primera vez a los bisontes. Como puedes darte cuenta, en el carácter de Borges la intemporalidad es muy acentuada en su obra. Esa característica de él me marcó profundamente. Y gracias a este libro conocí al crítico e historiador de arte francés Serge Fauchereau, quien sucesivamente escribió en diversas ocasiones en relación a el libro que hice con Octavio Paz. Donde Octavio escribe: ¡Hay luz, no la tocamos ni la vemos, en sus vacías claridades reposa lo que vemos y tocamos, oigo latir la luz al otro lado!
Te puedo decir que después de leer esto no puedes no amar la poesía, con esto puedes entender la importancia que tiene la cultura general en un artista, ya que todo es importante, todo es sujeto y pretexto, como puerta de acceso.
A Octavio Paz lo conocí gracias a la artista Ambra Polidori, que es mi esposa.
En esos años realicé otros libros, por ejemplo, con Giuseppe Pontiggia, Premio Strega, uno de los premios más importantes de Italia y con Roberto Sanesi, poeta de la escritura automática influenciado por los futuristas. Ese es otro tema muy interesante. Movimiento que revolucionó la manera de pensar el arte.
En México tenemos contribuciones importantes como lo fue el estridentismo, incluso influenció de cierta manera a Siqueiros.
Para mi Milán significó encontrarme con el arte, no solo del siglo XX sino con toda la cultura medieval, renacentista. Qué decir, por ejemplo, de Piero della Francesca. Me acuerdo de un concepto muy importante de él que se refiere a la pintura, en el cual menciona que Es más importante la tensión entre dos cipreses pintados que la pintura de los dos cipreses. Encontrar analogías a nivel conceptual de Piero della Francesca con la cultura budista sintoísta, por ejemplo, o analogías a nivel conceptual con la cultura huichol en México. En mi búsqueda personal considero, de alguna manera, que el artista está predeterminado a ver y relacionar su yo interno con el yo externo. El arte finalmente es una especie de cordón umbilical donde el pasado está ligado al presente; nada viene de nada, creamos en base a lo ya construido, escalón porescalón, momento por momento, construimos nuestra obra en un sentido dialéctico, donde se conjugan yse encuentran los tiempos y las ideas. Otro artista que es importante entender, es Velázquez. Cuando él estaba pintando Las Meninas en el palacio, llegó el rey, entró al estudio y vio unos maniquíes que representaban a los personajes que él estaba pintando en su obra. El rey bromeando le preguntó que si alguno de esos monigotes era él. Velázquez al ver la expresión del rey le expresó: “Majestad que honor que usted me visite, permítame decirle cuál es mi intención al realizar esta obra”. Entonces Velázquez se dirigió a la ventana, la abrió y en ese momento el rey intentó acercarse, pero él lo detuvo antes de que llegara a ella: “Permítame explicarle: ¿me puede describir lo que está afuera?” El rey siguiéndole el juego comenzó a describir lo que estaba sucediendo afuera: “…militares ejercitándose, niños jugando, un cocinero, etcétera”. Describió todo lo que pasaba afuera sin verlo, utilizando sus otros sentidos; pero el rey seguía sin entender lo que quería decirle el artista. Entonces Velázquez le comentó que su intención al realizar la pintura era que los principales protagonistas fueran el rey y su esposa, independientemente de que no aparecieran en primer plano. Fue así en aquel momento que Velázquez pinta al rey y a la reina en el reflejo del espejo, en un segundo plano. Y fue la primera vez en la historia del arte que un elemento de ausencia deviene presencia, donde la construcción en cuanto composición –y aquí incluyo la geometría y las matemáticas– fueron incluidas, haciendo de esa pintura hoy en día, después de tanto tiempo, una obra maestra tan actual como lo fue en el mismo momento de su creación. Este es un ejemplo de cómo el arte –por estos encuentros– trasciende su momento histórico. Y el hecho de vivir las cosas de primera mano son tan importantes en la conformación de un artista. Estando en México si bien existen otros caminos, una limitante en lo personal fue precisamente lo educativo; encontrar profesores que te hablaran de historia del arte, de obras que jamás habían visto. El sistema educativo trataba la historia de atrás hacia delante. Hoy por ser tan extensa, creo que nos obliga a estudiarla de adelante hacia atrás, ya que de alguna manera el presente contiene el pasado.

ML: Allora, andando più verso il presente, raccontami del tuo rapporto con Michelangelo Pistoletto. Come vi siete conosciuti?
RS: La persona che mi ha fatto conoscere Michelangelo Pistoletto (che come sapete, è un artista del movimento noto come arte povera emerso in Italia negli anni Sessanta) è stato il suo curatore e critico personale, Fortunato D’Amico. Non è così…?
È stato il curatore di un progetto della Biennale di Architettura di Venezia nel 2010 di cui ho fatto parte. Il progetto si chiamava “Cultura Natura”. Era particolarmente interessato al lavoro che sto sviluppando con l’architettura e al progetto Advento che ho fondato nel 1993, facendo riferimento all’“architettura sociale” come universo espanso. D’Amico rapportò questa mia iniziativa al progetto di Pistoletto Cittadellarte (che è una scuola-laboratorio d’arte e creatività fondata nel 1998 in una fabbrica tessile dismessa vicino al fiume Cervo a Biella, in Italia). In relazione a questo vi sono diverse coincidenze riguardanti progetti comuni. Attualmente Advento è stato nominato Ambasciata di Cittadellarte in Messico e insieme stiamo sviluppando diversi progetti che coinvolgono la società.

ML: Entonces, yéndonos más hacia el presente, cuéntame más de tu relación con Michelangelo Pistoletto. ¿Cómo se conocieron?
RS: Quien me introdujo a Michelangelo Pistoletto (como saben, artista del movimiento conocido como arte povera –arte pobre–, surgido en Italia en los años 60): fue su curador y crítico personal, Fortunato D’Amico. ¿No es así?… Él fue el curador para un proyecto de la Bienal de Arquitectura de Venecia en 2010 y de la cual formé parte. El proyecto se llamó “Cultura-Natura”. Particularmente le interesó el trabajo que he ido desarrollando con la arquitectura y mi proyecto de Advento que fundé en 1993, referente a la “arquitectura social” como universo expandido. Esto D’Amico lo relacionó con el proyecto de Pistoletto: Cittadellarte (que es un laboratorio-escuela de arte y creatividad fundado en 1998 por este artista, en una fábrica textil en desuso junto al río Cervo en Biella, Italia). En relación a esto existen varias coincidencias en cuanto proyectos mutuos. Actualmente Advento fue nombrada Embajada de Cittadellarte en México y conjuntamente estamos desarrollando distintos proyectos que implican a la sociedad.

FD: Capisco che sei un artista multidisciplinare e che il tuo campo d’azione ha a che fare con il concetto di universo espanso, puoi dirci cosa intendi con questo?
RS: L’universo espanso nasce come concetto che rimanda ad una comprensione poliangolare del corpo e del soggetto come se stesso all’interno di un contesto urbano in senso multidimensionale ed equilibrato, aperto all’altro nel suo senso critico e creativo dalla prassi fondante di ciò che è nel passato e che verrà trasformato.
La sua unità di lettura non si trova nell’origine, ma nella destinazione, come atto che la trascende. Dove tutto è suscettibile di intervento, di essere toccato e trasformato; dove la città diventa un laboratorio, con una visione olistica e un atteggiamento emancipatore nel cambiamento di atteggiamento e di orizzonte.

FD: Entiendo que tú eres un artista multidisciplinario y que tú campo de acción tiene que ver con tu concepto de universo expandido, nos puedes decir a que te refieres con esto?
RS: El universo expandido nace como un concepto que se refiere a una comprensión poliangular del cuerpo y del sujeto como sí mismo al interior de un contexto urbano en un sentido multidimensional y de equilibrio, abierto a lo otro en su sentido crítico y creativo desde la praxis fundacional de aquello que es en cuanto pasado, y que vendrá transformado. Su unidad de lectura no se encuentra en su origen, sino en su destino, como un acto que lo trasciende. Donde todo es susceptible de intervención, de ser tocado y transformado; donde la ciudad deviene laboratorio, con una visión holística y una actitud emancipadora en el cambio de actitud y de horizonte.



FD: Mi sembra di capire che questo concetto è legato al tuo progetto di Advento.
RS: Sì, fa riferimento alla città come laboratorio urbano che dà vita a un intervento condiviso.

FD: Tengo entendido que este concepto se une a tu proyecto de Advento.
RS: Sí, efectivamente se refiere a la ciudad como laboratorio urbano que da vida a una intervención compartida.

 

ML: Advento nasce, come hai detto, nel 1993, in un villaggio chiamato Tecali de Herrera, nello Stato di Puebla, per cui hai fondato un’associazione civile. Qual è stato il motivo?
RS: Sì, ho fondato un’associazione civile perché, se volevo intervenire e collaborare direttamente con la società, in qualche modo dovevo istituirmi formalmente, il che è stato molto importante perché mi ha permesso di coinvolgere non solo artisti, ma anche designer, filosofi, antropologi e architetti, oltre a darmi gli strumenti per poter operare istituzionalmente. Ho potuto così intervenire e intendere la città, il contesto urbano come laboratorio, la struttura architettonica, culturale ed economica che diventa materia prima per creare nuove realtà e progetti che collaborano allo sviluppo di una società a 360°.
In questo progetto ho capito che era importante coinvolgere tutte le discipline e tutti i compiti, poiché funge da ponte tra queste due realtà. Il supporto dell’artista in questo caso non è la tela o il muro, la carta, il bronzo o l’argilla, ma è la società in tutti i suoi aspetti e ritengo che sia l’unico modo di realizzazione, in cui dobbiamo essere consapevoli che solo attraverso il prossimo –e per il prossimo– si possono raggiungere obiettivi verso un futuro possibile. Per questo ho iniziato ad interessarmi alla filosofia e allo studio delle diverse capacità di intervento creativo, nel senso di costruire idee, dove la città è la piattaforma di questa esperienza.
Gran parte dei problemi che sta vivendo la società sono proprio la mancanza di tali collegamenti tra i diversi settori: ognuno vede da sé, senza rendersi conto che siamo tutti dentro e ciò che facciamo influenza o avvantaggia tutti.
In Advento abbiamo istituito diversi programmi che hanno a che fare con lo sviluppo di nuove forme a livello grafico, formale, estetico e ornamentale, che formeranno finalmente una nuova identità basata sulla nostra realtà culturale e fisica.
Sicuramente l’esperienza di un progetto di questo tipo ci dà l’opportunità di coincidere con l’altro, ribaltando l’irreversibile attraverso l’abbinamento dell’esercizio pratico che lega l’estetica alle cose fatte a mano, attraverso la materia come opzione per capire e mettersi in pratica e cambiare, esercitando la libertà come senso di appartenenza.
Per parafrasare Heidegger: «non siamo circondati da cose o eventi, ma da strumenti, e l’essenza di qusti strumenti nella loro rispettiva condizione, il loro essere intorno […] in modo che […] sia possibile trarne vantaggio sfruttando il loro intento, in altre parole, la loro utilità e occupabilità». Abbiamo visto la necessità di impegnarci in diverse discipline (intese come strumenti) che magari non hanno a che fare con l’arte, ma che sono importanti da apprendere nel senso di uno strumento per accedere a quella che Joseph Beuys chiamerebbe: una “scultura sociale”, dato che la società stessa è un progetto plastico.

ML: Advento nace, como lo mencionaste, en 1993, en una población de nombre Tecali de Herrera, en Puebla, para el cual fundaste una asociación civil. ¿Cuál fue la razón?
RS: Sí, fundé entonces una asociación civil, pues si pretendía intervenir y colaborar directamente con la sociedad, de alguna manera tenía que instituirme como una asociación; lo cual fue muy importante ya que me permitió implicar no solo artistas, también diseñadores, filósofos, antropólogos y arquitectos. Así como darme los instrumentos para poder operar institucionalmente. En el sentido de intervenir y entender la ciudad, el contexto urbano como un laboratorio, la estructura arquitectónica, cultural y económica que deviene el material primario para crear nuevas realidades y proyectos que colaboren en el desarrollo de una sociedad a 360°.
En este proyecto me di cuenta que era importante involucrar a todas las disciplinas y a todos los quehaceres, ya que funge como un puente entre estas dos realidades. El soporte del artista en este caso no es la tela o el muro, el papel, el bronce o el barro, sino es la sociedad en todos sus aspectos, y considero que es la única manera de realización, en la cual debemos tener conciencia de que solo a través del otro –y para el otro–, podemos llegar a objetivos hacia un futuro posible. Por ello comencé a interesarme en la filosofía y en estudiar las distintas capacidades para intervenir de forma creativa, en un sentido de construir ideas, donde la ciudad sea la plataforma de esta experiencia. Gran parte de los problemas que vive la sociedad son precisamente que no existen estos canales de vinculación entre los distintos sectores; cada uno ve por sí mismo, sin darse cuenta que todos estamos dentro y que las acciones que hacemos a todos nos afectan o nos benefician.
En Advento hemos instituido varios programas que tienen que ver con el desarrollo de nuevas formas a nivel gráfico, formal, estético y ornamental que finalmente conformarán una nueva identidad basada en nuestra propia realidad cultural y física. Seguramente la experiencia de un proyecto de este tipo nos da la oportunidad de coincidir con el otro, revirtiendo lo irreversible a través de hacer coincidir el ejercicio práctico que vincula la estética con lo hecho a mano, a través de la materia como opción para entender y llegar a la práctica y al cambio, ejerciendo tu libertad, como sentido de pertenencia útiles, y la esencia de esos útiles en su condición respectiva, su estar vueltos […] para que […] pueda aprovecharse de ellos disponiendo de su para-qué, es decir, de su utilidad y su empleabilidad”.
Nos hemos visto en la necesidad de implicarnos en distintas disciplinas (entendidas como herramientas) que quizá no tengan que ver con el arte, pero que son importantes de aprender en el sentido de instrumento para acceder a lo que llamaría Joseph Beuys: una “escultura social”. En cuanto a que la sociedad es por sí misma un proyecto plástico.

FD: Insomma, se capisco bene, Advento è per te una sorta di laboratorio sociale e urbano che permette in qualche modo di esercitare, socialmente parlando, una libertà allargata, dove praticamente tutto è suscettibile di intervento come universo espanso, interrogandosi su tutto ciò che riguarda la produzione sociale. In un certo senso, questa iniziativa, sebbene abbia aspetti concettuali di artisti, architetti e pensatori precedenti a te, porta anche nuove idee. E il contributo più importante sarebbe che si tratta di un’idea realmente sperimentata nel mondo reale, nella prassi, in un universo espanso. Cos’altro potresti aggiungere in questo senso?
RS: A questo proposito vorrei citare Foucault, che dice: il compito del pensiero è ricercare l’origine delle cose per spiegarle, recuperando il modo in cui si costituisce la possibilità del tempo, quell’origine senza inizio da cui tutto può succedere. Advento è proprio lì, ricercando e ricostruendo tutto ciò che ci coinvolge e ci riguarda. Sviluppando nuovi paradigmi che a loro volta sono collegati all’attività umana e artistica, come spazio di libertà multidisciplinare e partecipato all’interno del quotidiano e dall’urbano. Parafrasando Hegel, vedo Advento come un “processo cognitivo” verso l’autocoscienza che produce in noi nuove forme di conoscenza e, quindi, di vedere e comprendere il mondo.
Nell’ambito di Advento, ogni azione sociale implica una prassi e a sua volta implica un’apertura. Funziona in modo simmetrico, quindi lo spazio si dispiega come un libro. In questo modo, ogni azione genera un’immagine: conoscenza e certezza, come universo espanso.

FD: En definitiva, si bien entiendo, Advento es para ti una especie de laboratorio social y urbano que permite de alguna manera ejercer, socialmente hablando, una libertad expandida; donde prácticamente todo es susceptible de intervención como universo expandido. Preguntándose y cuestionándose todo lo relativo a la producción social. De cierta manera, esta iniciativa si bien tiene aspectos conceptuales de artistas, arquitectos y pensadores anteriores a ti, también conlleva ideas nuevas. Y la más importante aportación sería que es una idea que realmente se experimenta dentro del mundo real, en la praxis, en un universo expandido. ¿Qué otra cosa pudieras complementar al respecto?
RS: En esta línea de pensamiento me gustaría citar a Foucault, que dice: Una labor del pensamiento es la de cuestionar el origen de las cosas con el fin de fundamentarlo, recuperando el modo sobre el que se constituye la posibilidad del tiempo, ese origen sin comienzo del cual todo puede suceder. Advento precisamente se encuentra ahí, cuestionándose y reconstruyendo todo aquello que nos implica y concierne. Desarrollando nuevos paradigmas que a su vez se vinculan entre actividad humana y actividad artística, como espacio de libertad multidisciplinaria y participado dentro del cotidiano y desde lo urbano. Parafraseando a Hegel, a Advento lo veo como un “proceso cognitivo”, hacia la autoconciencia produciendo en nosotros nuevas formas de conocimiento y, por lo tanto, de ver y entender el mundo. En Advento cada acción social implica una praxis y a su vez implica una apertura. Se acciona simétricamente, así el espacio se despliega como un libro. De esta manera cada acción genera una imagen y una imagen: conocimiento y certeza, como universo expandido.

ML: Facendo riferimento ai diversi programmi –o forse dovrei dire “opere”– che hai sviluppato in Advento, uno di questi è “Campo expandido”. Cosa puoi dirmi a riguardo?
RS: Campo expandido è nato dall’osservazione a Milano in particolare nell’area della Bovisa, un ex quartiere industriale il cui sviluppo è stato fortemente influenzato dalla ferrovia che lo attraversa. Fu proprio nel 2006 che ebbi l’opportunità di realizzare un progetto in uno spazio degradato. Una società denominata EuroMilano mi offrì un sito che visitai e per cui preparammo uno studio dei requisiti minimi per poterlo riabilitare e creare un luogo dove il contesto urbano sarebbe stato ristrutturato, tenendo conto non solo della sua storia, ma anche dei codici grafici ed estetici che venivano usati all’epoca della sua costruzione. C’erano tracce sulle pareti di diversi mobili utilizzati precedentemente nel posto. Furono quegli elementi a suggerirmi le basi per intervenire pittoricamente ed esteticamente, decostruendo lo spazio, non solo in termini bidimensionali ma anche tridimensionali-spaziali.
Dietro questa struttura architettonica, a circa 100 metri di distanza, c’è un gasometro, un impianto metallico che in qualche modo è un simbolo post-industriale dell’epoca e conserva una forza espressiva organica, direi scultorea architettonica. Nell’identificare i diversi punti di fuga del luogo, ne trovai uno molto interessante, ma l’edificio da intervenire lo copriva e in questo modo ti impediva di poter osservare la struttura completa. Questa situazione mi costrinse in qualche modo a dipingere ciò che non riuscivo a vedere della struttura. In altre parole, abbiamo dovuto dipingere integrando la linea originale con quella virtuale, mi riferisco alla continuazione sul muro di questo edificio.
Questo per me fu un avvenimento importante, perché dal punto di fuga principale riuscii ad osservare la struttura completa. L’ azione mi pemise di spostare visivamente il secondo piano in primo piano e lo spostamento a sinistra o a destra faceva sembrare che la struttura si muovesse. Questo evento mi fece capire che è possibile che l’architettura possa muoversi e così può essere alterata. Inoltre, devo aggiungere che questa azione conferisce una proprietà scultoreo-pittorica all’intervento.
Il disegno altera lo spazio esistente, conferendogli una anormalità visiva, aprendo una dimensione all’interno dell’architettura in cui è inscritto. Chi la sposta attraverso gli occhi è lo spettatore, per cui lo si rende partecipe. Rendere partecipe lo spettatore lo trasforma in una sorta di autore del fatto. Questo primo intervento ha modificato totalmente il contesto, poiché ha significato un modo di poeticizzare lo spazio urbano ed ha generato un certo sviluppo di recupero delle diverse architetture, modificandone non solo l’estetica, ma anche l’uso; così, successivamente, questo spazio ha ospitato la Fiera Universale nel 2017 ed è stato un laboratorio per artisti. Poco dopo di fronte è stata istituita la Triennale di Milano, per poi diventare la sede degli uffici generali di EuroMilano. È stata un’esperienza rinnovatrice in tutti i suoi sensi, mi ha fatto capire le possibilità che esistono, in termini di influenza e partecipazione dal punto di vista creativo all’interno della società, non solo dal punto di vista artistico, poetico, cromatico, ecc., ma anche nell’ambito delle possibilità intrinseche di ogni specialità e come discipline diverse possono essere coinvolte nello spazio urbano e dialogare da un punto di vista dialettico. In questo spazio sui generis puoi trovare pittura, architettura, scultura, colore, geometria e così via. È come un luogo di convergenza, come una sorta di opera wagneriana totale che ci porta su un palcoscenico dove il teatro è implicito. Questo è stato il primo intervento. Ad oggi ho realizzato 58 progetti, che sono già divenuti opere, eseguiti in diversi Paesi e contesti. Ognuna ha le sue peculiarità, nel senso che l’artista lavora non per imposizione, ma per analogia con il contesto.
C’è un’idea dell’architetto Alvar Aalto che mi piace molto: Un’estensione della natura nel regno artificiale, che facilita il terreno per la percezione e l’orizzonte dell’esperienza e della comprensione del mondo.
In relazione a queste opere ho ricevuto due importanti riconoscimenti, uno dall’American Institute of Architects nel 2007, per un lavoro svolto nella città di Albuquerque, New Mexico, e l’altro più recente nella città di Viggiano, in Italia, per l’opera plastica Campo Expandido XLIII, opera realizzata in collaborazione con l’architetto Andreas Kipar di Land Studio. Quando penso a tutto questo, tutto è decisamente legato: nel mio lavoro e nel mio pensiero si riflettono in qualche modo tutti gli autori, artisti, filosofi e scrittori che hanno partecipato alla mia formazione e alla mia identità.

ML: Refiriéndonos a los distintos “programas” –o tendría que decir más bien obra– que has desarrollado en Advento, uno de ellos es el “campo expandido”. ¿Qué me puedes decir al respecto?
RS: Campo expandido nace a raíz de la observación, en la ciudad de Milán, Italia, y en particular ligado a un barrio que se llama Bovisa, un lugar ex industrial cuyo desarrollo ha sido fuertemente influenciado por el ferrocarril que lo atraviesa. Fue precisamente en 2006 que se me presentó la oportunidad de realizar un proyecto en un determinado espacio degradado. Una compañía de nombre EuroMilano me ofreció un espacio, lugar que visité y a raíz del cual hicimos un estudio de los requerimientos mínimos para poder rehabilitarlo y conformar un espacio donde se reestructurara ese contexto urbano, teniendo en cuenta no solo a su historia, sino los códigos gráficos y estéticos que se utilizaban en la época. Existían rastros en los muros de distintos mobiliarios de lo que fue ese lugar.
Esos elementos fueron los que me dieron las bases para intervenir pictóricamente y estéticamente, deconstruyendo el espacio, no solo en términos bidimensionales sino tridimensionales-espaciales. Detrás de esta estructura arquitectónica, a unos 100 metros, se encuentra un gasómetro, estructura metálica que de alguna manera es un símbolo posindustrial de la época que conserva una fuerza expresiva estructural, yo diría escultórica arquitectónica.
Al identificar los distintos puntos de fuga del lugar, encontré uno muy interesante, pero el edificio a intervenir lo cubría y de esta manera evitaba que tú pudieras observar esta estructura completa. Hecho que me obligó de alguna manera a pintar lo que no veía de la estructura. Es decir, sobre ésta teníamos que pintar complementando el trazo original con lo virtual, me refiero a la continuación sobre la pared de este edificio.
Esto significó para mí realmente un advenimiento, pues desde el principal punto de fuga, yo podía observar esta estructura completa. Esta acción permitió mover el segundo plano al primer plano de forma visual; el hecho de moverme hacia la izquierda o derecha, permitía que la estructura pareciera que se movía. Este suceso me hizo consciente de que era posible que una arquitectura pudiera moverse y de esta manera alterar la arquitectura. Además, debo agregar que esta acción le otorga una propiedad escultórica-pictórica a esta intervención. El dibujo altera el espacio existente, otorgándole un extrañamiento visual, abriendo una dimensión en el seno de la arquitectura en que se inscribe. Siendo que el que la mueve a través de sus ojos, es el espectador, haciendo que él sea participativo. Hacer participe al espectador lo convierte en una especie de autor de ese hecho.
Esta primera intervención modificó totalmente el contexto, ya que significó una forma de poetizar el espacio urbano y de alguna manera generó un cierto desarrollo de recuperación de las distintas arquitecturas, cambiando no solo su estética sino también su uso; así, sucesivamente, este espacio fue sede de la Feria Universal en 2017 y fue un espacio de laboratorios para artistas. Luego, al poco
tiempo y de frente se creó la Trienal de Milán, para posteriormente ser sede de las oficinas generales de EuroMilano.
Fue una experiencia renovadora en todos sus sentidos, me hizo darme cuenta de las posibilidades que existen, en cuanto a incidir y participar desde el punto de vista creativo dentro de la sociedad, no solo desde el punto de vista artístico, poético, cromático, etc., sino entender las posibilidades intrínsecas que tiene cada disciplina y cómo en el espacio urbano se pueden implicar diversas disciplinas y dialogar desde el punto de vista dialéctico. En este espacio sui géneris encuentras la pintura, la arquitectura, la escultura, el color, la geometría, etcétera. Y es como un lugar de convergencia, como una especie de obra total wagneriana que nos lleva hacia un escenario donde se encuentra implícito el teatro. Esta fue la primera intervención. Hasta la fecha he realizado 58 proyectos, ya obras, ejecutadas en distintos países y contextos.
Cada una tiene sus particularidades, entendiendo que el artista trabaja no por imposición, sino en analogía con el contexto. Existe una idea del arquitecto Alvar Aalto que me gusta mucho: Una extensión de la naturaleza en el reino artificial, que facilita el terreno para la percepción y el horizonte de la experiencia y la comprensión del mundo. En relación a estas obras he recibido dos premios importantes, uno por el American Institute of Architects en 2007, por una obra que hice en la ciudad de Albuquerque, Nuevo México, y el otro más reciente en la ciudad de Viggiano, Italia, por la obra plástica Campo Expandido XLIII, trabajo realizado conjuntamente con el arquitecto Andreas Kipar de Land Studio. Cuando pienso en todo esto definitivamente todo está ligado: mi trabajo y mi pensamiento se ven reflejados de alguna manera, todos los autores, artistas, filósofos y escritores que han participado en mi formación y en mi identidad.