Anno Uno
Vi proponiamo un testo/opera pubblicato da Michelangelo Pistoletto nel 1981.

Introduzione

Anno Uno è interpretato da venti abitanti di Corniglia, un paese ligure, e da alcuni membri della mia famiglia. È un momento di lavoro che si sposta dalla piazza del paese, dove solitamente si svolge, per entrare nella sede di un teatro ufficiale.
Quindi mentre si presenta come opera compiuta in sé, è anche frammento di un’esperienza artistica che si estende fuori dai canoni della prassi teatrale. È parte di una collaborazione che unisce ogni tipo di persona, così come le varie forme espressive: dall’arte visiva, al teatro, alla musica, alla danza, ecc.
Quest’attività, iniziata nel 1967, con l’uscita in strada del gruppo Lo Zoo, comprende oggi la partecipazione diretta di gruppi di gente della città e del paese.
Lo spettacolo può essere considerato un quadro parlante, una scultura vivente, e nel contempo può essere ascoltato come una composizione in cui le frasi letterarie scorrono su uno spartito musicale.
È la rappresentazione di una città dove le persone sono l’architettura. È la civiltà che immobilizza la gente sotto le sue pesanti strutture.
È l’eterna città o “la città eterna” dentro cui si ode lo scandire del tempo fino alla pietrificazione.
La fissità e l’immobilità dei principi mitici è percorsa dai passi che fanno eco al cammino della storia. Le persone comuni di oggi appaiono sulla scena come al traguardo di una marcia che finisce davanti allo specchio. Lo specchio che riflette, al tempo di un flash, ciò che sta alle nostre spalle, trasformandoci in statue di sale. Ma è lo stesso specchio che può sciogliere un’anima capace di voltasi e “forare con lo sguardo la crosta di una nuca millenaria”.

Anno Uno

A: È stato lungo il cammino, fermiamoci qui. (1) Questo mi pare veramente un buon posto. Potrebbe essere la terra che cercavamo. Posiamo le nostre cose e riposiamo. (2)
(Da 1 a 2 tutti fanno rumori di ebollizione con la bocca)
Domani ci guarderemo intorno e cominceremo a costruire con i sassi le nostre dimore.
Ora accendiamo i fuochi per tenere lontani i lupi. E poniamo al centro del campo la fiaccola che ha rischiarato il nostro cammino e ci ha condotti fin qui. (3)
(Da 2 a 3 ciascuno ripete tre dei seguenti nomi: Balè, Patapun, Babàn, Siesa,Munkìn,Ciccio,Magana, Papa, Mancìn, Bagiùn, Garibba, Ferà, Mumèlla, Peci, Calàn, Gagìn, Manàn, Magìn, Curò, Cincella, Frisuà, Balalà, Lalottu. Questi nomi vengono ripetuti fino all’urlo di un assassinio)
(urlo acuto di un assassinio)
(grido di orrore di tutti)
(gran vociare: “Io non ho visto niente… ma dov’eri tu… vieni qui… stai attento… “ ecc.) (alcuni: “Che è successo, che è successo?”)
B: Un uomo è stato assassinato.
(continua il gran vociare concitato)
C: Chi l’ha ucciso?
(continua il vociare)
D: Io l’ho ucciso. (forte)
Ho ucciso mio fratello.
Coro: Prendetelo! Legatelo, che sia messo a morte.
A morte (gran vociare)
D: No, un momento, lasciatemi parlare. Tutti: A morte, a morte, a morte!
B: Silenzio, lasciatelo parlare.
D: Troppo a lungo l’abbiamo seguito, fiduciosi, nel faticoso cammino.
(Tutti assumono posizioni delle mani raccolte dinanzi al viso, muovendole lentamente in tensione) Vedete ora? Ecco la terra che ci aveva promesso, non è altro che una piana desolata, cosparsa di alberi senza frutti. Ben diversi erano i nostri sogni. Ben altro doveva essere il premio alle nostre fatiche. Qui non c’è nulla di ciò che era stato promesso. È forse questa la terra meravigliosa che ci attendeva? Non vedo qui il seno turgido e generoso di una madre prodiga, non vedo brillare intorno il metallo prezioso che appaga i nostri occhi e i nostri desideri, non c’è altro che paura e fatica ad attenderci. Sì, io l’ho ucciso.
Sì.
Solo con la morte egli poteva pagare il suo inganno.
(vociare: “È vero, è vero…”)
D: Dunque, ora basta, nessun potere sarà dato d’ora in poi a gente come lui. Ci hanno dato delle illusioni.
Ma io non vi deluderò. Questo mio gesto sia il simbolo del vero potere, per sempre.
(vociare sommesso)
D: Io sono ora il vostro capo. E so di poter contare su tutti coloro che hanno covato nelle vene l’ira e l’odio.
(gemito di una persona)
Su tutti coloro che hanno patito la sete e la fame. So di poter contare su tutti quelli che hanno sognato di mettere a tacere le voci noiose, irritanti, insopportabili dei saccenti petulanti, deboli e impotenti.
Questi impostori devono pagare. Che siano messi in catene e che scontino col duro lavoro di schiavi il prezzo della nostra amarezza e del nostro rancore.
Essi! dovranno edificare per noi la città che ci hanno promesso, (veloce e secco)
E che ogni ribellione e ogni rivolta sia soffocata a costo di sangue. Io sono Caino, il vero profeta, io rappresento la vittoria dei forti sui deboli. Per sempre.
(acclamazione)
D: Bene. Domani sarà tracciato un solco tutt’intorno e nascerà qui la nostra città.
E coloro che vorranno dimostrarsi miei fedeli dovranno provarlo. Essi dovranno muoversi senza indugio al mio ordine e andare fra la gente a raccogliere ogni oggetto o monile che sia d’oro.
E si cerchi un artista che sappia edificare con quest’oro una statua, una grande statua in onore del dio, per il suo e nostro potere.
E che tutti vivano nel timore della sua forza e si adoperino per guadagnare la sua magnanimità.
(tutti mantengono per due minuti le posizioni precedenti in assoluta immobilità interrotte soltanto dal movimento di un braccio di tre persone in successione)
(tutti abbassano le braccia iniziando a ripetere “Boh”, intercalato da qualche “Tah”. Durata un minuto. Tutti fanno con la bocca un rumore secco come di rottura di ghiaccio)
(la frase successiva viene cantata lentissimamente con voce acuta ma non forte senza che le parole siano chiare, con vibrazioni di voce di tipo orientale)
F: II cammino è stato lungo per arrivare fin qui.
Coro: (in sordina) II cammino è stato lungo per arrivare fin qui.
Una donna: Abbiamo visto le madri, i padri, i nostri fratelli scomparire inghiottiti dal fango. I nostri figli nati nella melma sono stati divorati dalla terra, matrigna, avida, famelica, insaziabile.
(queste stesse battute devono essere ripetute all’unisono da tre uomini con voce forte e cadenzata)
Coro: (in crescendo) Sì, sì, sì!
Due donne: (con voce alta e stridula) La vostra gente è stata sacrificata alla terra. Voi vi salverete sacrificando al cielo ciò che vi rimane di più caro.
Una donna: (con voce bassa ma forte) Portatevi al tempio per compiere il sacrificio che sarà il vostro giuramento. Poi scendete nella cava e ognuno sollevi il sasso più grande che troverà e lo porti in cima alla collina.
Tre donne: (battendosi il pugno sullo stomaco in modo da formare una voce vibrata) Queste sono le pietre che colonizzeranno il mondo.
(la stessa frase viene ripetuta da una delle tre donne a voce piena)
(alcuni ripetono questa frase intercalandosi, dicendo le parole in inspirazione, per trenta secondi. Per altri trenta secondi alcuni fanno voci da sordomuti)
(gli uomini per alcuni secondi fanno un forte respiro ritmico affannato con un accentuato raschiamento di gola)
G: II cammino è stato lungo per arrivare fin qui. Tutti: II cammino è stato lungo
H: La città pare morta.
I: È deserta, tutti dormono.
(piccoli tocchi di piedi sul pavimento di sette persone alternate per trenta secondi)
L: Doveva essere bella questa città. M: Sì, lo era.
(inizia un lieve canto di donna in sottofondo)
N: Dal lontano giorno in cui un uomo uccise suo fratello, e diede il suo nome a questa città, essa diventò tanto potente da conquistare il mondo.
(il canto di sottofondo si alza ed entra in risonanza con il canto di una nota ritmicamente ripetuta da un’altra persona)
O: (alla fine del canto) Qui sono state create le leggi e imposte ovunque.
P: Qui sono giunti i tesori da ogni parte della terra come bottino della conquista.
O: Gli architetti hanno disegnato per il lavoro degli schiavi la monumentale maestosità della città imperiale.
Q: Ma noi non saremo mai più schiavi. Vero?
R: Certo se così non fosse a cosa sarebbero valsi i morti che si sono donati all’esempio di redenzione dell’ingiusto potere?
G: Tacete, non fate rumore.
Non svegliate quei cani rognosi che dormono.
(nuovamente tocchi dei piedi sul pavimento per alcuni secondi)
G: Ma guardate piuttosto che disastro, che desolazione. N: Sii, questa città fa male a vedersi. Ridotta così.
S: Guarda!
G: Cosa?
S: Questa pietra, così grande e lunga che giace a terra.
Ah, ora vedo, è un obelisco abbattuto.
(riprende il canto di sottofondo)
T: Questo obelisco non è mai stato eretto su questo suolo. È stato portato qui dal lontano Egitto come segno di forza, come simbolo del potere.
R: Sì, del potere e della persecuzione. G: È un capolavoro d’arte e d’ingegno.
N: Era l’arte egiziana per la gloria dei Faraoni. Trasportata qui dai Romani per la gloria degli Imperatori. S: Sulle spalle degli schiavi.
G: Ma ora basta. Adesso siamo qui. E francamente fa male vedere tanta desolazione, tanta meraviglia devastata, tanta immondezza, guardate i templi, sono abbandonali e distrutti.
(fine canto di sottofondo)
N: Ecco, noi li riedificheremo per la nostra fede.
(le seguenti frasi devono essere dette sonnacchiosamente sbadigliando, mentre tutti assumono con le braccia pose da sarcofago egiziano)
N: Noi mostreremo la forza della nostra fede ricostruendo questa città più grandiosa di prima.
U: E un giorno anche questo obelisco sarà nuovamente eretto. E tutt’intorno a questo obelisco sorgeranno le colonne del nostro rinascimento, (sempre sbadigliando) Sì, davvero. E intorno a questa pietra si radunerà la gente di tutto il mondo.
(mantenere per un minuto in silenzio le pose egiziane di tutti)
(tutti portano le braccia conserte iniziando, a bocca semichiusa, a pronunciare una V come per imitare il vento)
(dopo un minuto, mentre continua il vento, iniziano le seguenti battute)
V: II cammino è stato lungo per arrivare fin qui. Si riposi ora, Maestro. Domani, ne riparleremo domani. W: Domani, mi attende il giudizio universale.
Ho con me i bozzetti del grande affresco. I muri della Sistina mi aspettano. Domattina di buon’ora sarò già sulle impalcature della cappella. Ma piuttosto dovremo discutere i progetto che ho preparato per la cupola della basilica.
V: Certo, certo, è il progetto più grande e ambizioso del mondo. Ma siamo in buone mani, Maestro,
(finisce il vento sulla parola “mani”)
(le donne eseguono con le braccia una danza e gli uomini portano una mano sul mento. Dopo quaranta secondi una donna dice i giorni della settimana in persiano. Finisce la danza)
(le battute seguenti sono dette in lingua cornigliese e tradotte simultaneamente in italiano dalla persona che parlava in persiano)
K: II cammino è stato lungo per arrivare fin qui.
J: Pensa , quando ero bambino mio padre mi mostrava la luna e mi diceva: “Vedi la luna: chissà se mai un giorno gli uomini arriveranno fin lassù”.
K: Non è incredibile? Ora noi ci siamo, siamo quassù sulla luna, noi stessi.
J: Ma è strano, in questo momento non riesco a sentire il piacere del sogno di allora. K: Guarda la terra nel buio dello spazio. La terra è così lontana che pare un ricordo.
J: Pensa che però tutta insieme l’umanità laggiù, in quello che tu chiami un ricordo, sorregge le strutture che ci hanno spinti così lontano.
K: La gente laggiù è come le cariatidi degli antichi templi, è come i pilastri che sostengono gli archi e le cupole. Ci sono più tecnici oggi che schiavi nell’antica Roma.
(pausa)
J: Sei mai stato a Roma?
K: Io sì, e tu, John?
J: Io no, ma vorrei fare un viaggio dopo il mio ritorno.
K: A Roma la cupola di San Pietro era un tempo la più alta realizzazione dell’ingegno umano. E ho visto anche II giudizio universale sul muro di una cappella. Un grande affresco.
J: Cose dell’antichità.
K: Sì, è vero, oggi la cupola che rappresenta l’ingegno umano si sviluppa tra i pianeti e occupa lo spazio reale tra le stelle. Mi domando come un artista moderno potrebbe immaginare, in proporzione, un affresco del giudizio universale.
J: Cosa vuoi dire?
K: Se penso alla gente sul pianeta terra, come pilastri viventi di questa cupola matematica e tecnologica, allora vedo noi quassù come i personaggi di un affresco che sta sulla volta cosmica.
(pausa)
J: Tieni d’occhio l’ossigeno – ok – tutto a posto.
K: Beh, ora voglio dirti una cosa. Mentre viaggiavamo ho avuto per un momento la lucida sensazione che sarei finito contro uno specchio, un grande, grandissimo specchio.
Dove avrei visto per la prima volta… sai cosa?
J: Cosa?
K: La mia immagine. Soltanto la mia immagine e lo spazio.
J: Cosa dici?
K: È come se al termine del viaggio ci fosse uno specchio come un occhio nudo e bruciante, che non vede.
Un occhio cieco.
Dentro al quale io posso vedere, e vedo ciò che sta alle mie spalle nello spazio e nel tempo. L’occhio che sta all’origine delle cose e attende il giudizio ultimo sulle cose è uno specchio. È uno specchio che vede con i miei occhi e pensa con la mia mente.
J: Quando mi guarderò allo specchio penserò a ciò che mi hai detto quassù.
Non potrò fare a meno di pensarci.
(tutti spalancano la bocca)
Una donna: Una larga serpiente entra en la dimension real / del mural / del juicio universal.
La obra tiene la forma / de una serpiente de las mil y una vidas.
El recuerdo està vivo / y presente como el hoy / es ya recuerdo del mañana.
Tutti: (ognuno pronuncia un verso della seguente poesia ad alta voce con cadenza da corteo, ma tutti contemporaneamente, per tre minuti)
La piccola casa
nascosta dal fico
i fiori
minuscola vigna
il prato entra dalla porta socchiusa
le scale
una rosa l’ortensia l’edera sul muro con il sole più chiaro le finestre guardano nella casa di pietra sventolano colori come segreti delle case vicine valle di suoni che riempie la casa.
(le voci si abbassano e diventano un ritmo sommesso. Dopo alcuni secondi ciascuno ripete la propria frase o parte di essa alternandosi in un libero fraseggio musicale mantenuto su ritmo costante del fraseggio sommesso)
Una donna: II cammino è stato lungo per arrivare fin qui.
Un’altra donna: Ma se non ci siamo mai mossi.
Il coro: Non ci siamo mai mossi di qui.
Una terza donna: Ninna nanna, ninna nanna…
Un uomo: Cosa fai?
La terza donna: È una bambola che avevo fatto con le mie mani, per mia figlia. Ma lei non ha mai giocato. È andata via. Aveva tre anni. Prima l’asilo, poi la scuola, poi la specializzazione. Che potevo fare io? Non l’ho più vista. E c’è chi parla ancora di famiglia. A cosa serve la famiglia? Ora c’è chi pensa a tutto. Così sono libera, libera di lavorare. Scusate, non posso muovermi, ho tanto da fare. E per pietà, non dite a nessuno che mi avete vista giocare. Ninna nanna, ninna nanna…
(su questa cantilena la donna comincia a muovere le mani davanti alla bocca e alla faccia come per soffiare via delle penne che volando le fanno solletico)
(tutti, iniziando uno alla volta, fanno gesti con le mani per cacciare il solletico delle penne immaginarie fino a bloccarsi coi gomiti dietro la schiena e braccia aperte)
AB: II cammino è stato lungo per arrivare fin qui. Coro: II cammino è stato lungo
AB: Ma chi sono questi, da dove vengono? Ahò! Stai attento, gente nuova, vedi un po’! Stagli dietro che gli freghiamo tutto.
(forte) Chi sei tu?
AC: Io sono un cittadino di Atene.
AB: E tu?
AD: Io vengo da Gerusalemme.
AB: E tu?
AE: Io da Detroit.
AB: E tu?
AF: Io vengo da Cornelia, un’antica residenza romana, sul Mar Ligure.
AG: Io vengo dal Mar Nero.
AH: Io vengo da… (forte)
AA: (declamato) Nella caverna senza eco dalle nostre bocche spalancate non esce suono.
AI: Io sono venuta a vedere le meraviglie di questa città. Che palazzi, che altezza, tutti di acciaio e di cristallo.
AL: Attenta!
AM: Aiuto! Mi hanno rubato la borsa. Corri! Alcuni: Fermatelo, al ladro! Al ladro, al ladro!
AA: (declamato) Nella caverna senza eco dalle nostre bocche spalancate non esce suono. AN: Leggi qui sul giornale, ma guarda un po’, roba da pazzi.
AO: Aspetta, non correre così, aspetta! AP: Sediamoci un momento.
AQ: Due caffè, grazie. AR: Uraaa!
Non ti allontanare…
AS: Guarda che bella stoffa, senti, che ne dici di una collana per la Sandra.
AT: Entriamo.
AU: Stupida, non vedi che è per domani.
AG: Bisogna mettersi in coda.
AV: Ciao.
AZ: Oh, ciao, come va, anche tu qui?
AV: Sì, io vengo una volta al mese.
AZ: Per lavoro?
AV: Sì, per lavoro.
AZ: Beato te.
AV: Sì, non è male, vi fermate molto?
AZ: No, domani abbiamo il volo di ritorno.
AK: Taxi (forte)
AZ: È passato presto,
AK: Taxi (forte)
AZ: e siamo stanchi morti
AK: Taxi (forte)
AJ: No, aspetta, ti do un passaggio.
AW: Però siamo sempre forti, eh! Sì, siamo fantastici.
AX: Non fermarti sempre a specchiarti, dai che sei bello, te lo dico io.
AY: (sovrapposta alla frase seguente) Aspetta che mi allaccio la scarpa.
AA: (declamato) Nella caverna senza eco delle nostre bocche spalancate non esce suono. Le labbra si muovono e nessuno ode rumore, né di gioia, né di dolore.
AA: (continua) La rappresentazione del nostro tempo svanisce come un sogno, nella caverna senza eco. Questa tragedia di morti e di sopravvissuti, senza vinti né vincitori, non ha più spettatori. Noi siamo qui a rappresentare un inferno senza fiamme portando sul capo l’immane simulacro del vitello d’oro dalla coda di paglia. Come rappresentare le doglie di un parto meccanico?
Come salvare dall’ultimo rogo la voce santa dell’arte?
Mentre anche le pagliuzze più minute, tessute dal gioco, vorticano al vento strappate da un arbitro che non sta al gioco!
Ecco la rappresentazione assiderata. L’immagine fissata. La voce bloccata.
Il flash di un eco costante che rimbalza di corpo in corpo nello spazio remoto. Un’immagine dura come la pietra.
Questo è il momento in cui la parola fine esprime un solo sentimento, un solo ricordo uguale per tutti. Soltanto statue di sale rimangono cieche a guardare in avanti, a fissare lo specchio, mentre dentro si scioglie un’anima, uno spirito che gira su se stesso e fora con lo sguardo intenso la crosta di una nuca millenaria.
Gli occhi dietro la testa.
Qui di fronte allo specchio stanno le statue di sale a rappresentare l’inferno simbolico dei corpi che non si possono voltare poiché non sanno dare spiegazioni di ciò che è stato fatto.
Qui rimarrà questa pietra tombale, a testimoniare l’ora passata del giudizio.
(tutti avevano abbassato le braccia alla parola “fine” e ora rimangono immobili in silenzio per cinquanta secondi. Dopo alcune interpunzioni di voci e canti leggeri, appena accennati, e minimi gesti, come uno sfregamento di polsi da una parte, una rapida tensione laterale delle braccia a pugni congiunti, dall’altra, e lo sbattimento di una mano, ritorna il silenzio e tutti si torcono per girare su se stessi alzando le mani per sostenere le strutture che stanno posate sul capo)

All’inizio dello spettacolo il sipario si apre e tutti gli attori sono allineati sulla ribalta. Fanno un passo avanti e un passo indietro. Il sipario si richiude e si riapre sulla scena in cui tutti, in piedi, sostengono sul capo grandi strutture ad imitazione di una città.
Questa immagine scenica rimane fissa per tutto lo spettacolo. Il sipario si chiude alla fine, sulla torsione degli attori e si riapre quando tutti ritornano alla ribalta con lo stesso movimento dell’inizio.