Quando mi cadde lo sguardo sull’asfalto, dopo aver incontrato gli occhi terrorizzati di un cane pelle e ossa, vidi una carta da gioco: un due di cuori. Nella notte della città spettrale, ricoperta da lapidi di fortuna, si sentivano continui colpi d’artiglieria dalle colline. Io camminavo rasente i muri, adagio adagio per non farmi notare. Raccolsi la carta, stinta e calpestata, e la conservai come un segno d’amore nonostante tutto l’odio che si sprigionava attorno. È un particolare insignificante, in apparenza, ma racchiude la mia concezione di arte, vita e realtà. È successo a Sarajevo nel 1994, nel mezzo della guerra che volli toccare e vedere di persona perché sapevo che gli artisti, i musicisti, i letterati resistevano con la potenza dell’arte e non attraverso il potere distruttivo delle armi. Non è facile parlare di sé. Lo farò random accendendo piccoli fuochi come si faceva un tempo nelle campagne. Da piccolissima ho bevuto latte e arte, così tanta da averla rifiutata per anni. Padre designer e madre artista, zio contrabbandiere di sigarette dalla vita affascinante e avventurosa. Ogni fine settimana Bruno Munari e la moglie Dilma erano da noi. Ed ogni settimana Milli e Tino andavano all’ADI a Milano a discutere di politica e design. Mia madre, con Mariuccia Secol e altre artiste, ha fondato il Gruppo Femminista Immagine. Quindi ho respirato quell’aria intelligente, ribelle, progettuale degli anni Settanta mista al fumo delle Gauloises senza filtro che i miei genitori aspiravano a pieni polmoni. Erano le sigarette degli esistenzialisti parigini, Juliette Gréco, Jean-Paul Sarte, Simone De Beauvoir… da accompagnare con un whiskey on the rocks.
Manuela Gandini.
Manuela Gandini con Andy Warhol e Daniela Morera, Milano 1987.
Andy Warhol.
Cosa avrei fatto da grande? L’astronauta, naturalmente. Ma saltiamo gli anni problematici dell’adolescenza in una piccola città di provincia, Varese, conservatrice, pettegola e classista. Sono già finiti gli anni Ottanta e vivo a Roma. Sebbene sia laureata in architettura, i miei progetti sono fatti di parole e non di linee rette. In quel periodo sono prestata alla politica. Gianni De Michelis è Ministro degli Esteri per il PSI e io curo i rapporti internazionali con i direttori dei più importanti musei del mondo, dal Guggenheim di New York alla Royal Academy of Arts di Londra. De Michelis è coltissimo e anticonformista, inventa il concetto di “giacimenti culturali” (il petrolio dell’Italia) e coltiva allora le relazioni con i capi di Stato attraverso scambi culturali , promuovendo l’arte come nessuno mai. Ma questa è solo una breve parentesi della mia vita. Ho cominciato subito a scrivere e a curare mostre anche discretamente importanti come “Taking The Picture. Photography and Appropriation” (1990) alla Leo Castelli Gallery di New York e al Gallery Night di Milano. In quel periodo mi sono trovata nel centro della Pop Art e del Neo Geo. Dopo il primo rifiuto adolescenziale, l’arte era tornata prepotentemente nella mia vita, era la mia navicella spaziale. “Art has to give you euphoria”, l’arte deve darti euforia, disse David Bowie e, prima di lui, Marcel Duchamp affermò “È una specie di euforia costante”. Così, risucchiata come Alice in un diverso sentire, ho cominciato a frequentare gli States, gli scrittori minimalisti, i parties, Times Square e sua elettricità, il Chelsea Hotel e le bettole di Chinatown. Poi incontravo gli artisti Fluxus, irriverenti e profondamente affettuosi e, per un momento – il tempo di una stella cadente – parlai con Andy Warhol, poco prima che morisse.
Joseph Beuys.
Homogeneous infiltration for piano 1966 – Joseph Beuys.
Jean Toche, installation view, Casa Morra, Napoli,
per la mostra “Gli Unici” a cura di Manuela Gandini 2022.
Marina Abramović.
Manuela Gandini e Marina Abramović.
Ma non esibirò i miei trofei, bensì l’anima delle mie esperienze a volte vellutate, altre ruvide e accartocciate. Perché l’arte? A che serve? Non è sempre stato facile, ho camminato su terre vulnerabili e problematiche cercando di portare la sottile trasversalità del pensiero artistico nelle guerre, nelle fabbriche, nelle carceri ma anche alla Biennale di Venezia, al teatro Out Off, all’Università, sulle riviste d’arte e sui principali quotidiani nazionali. Nel 2017, seduta sotto un cielo blu intenso nel centro della piazza di Skenderija a Sarajevo, mi parve che si realizzasse il sogno del due di cuori. Amela Filipovic, addetta culturale dell’Ambasciata Italiana di Bosnia-Herzegovina, mi aiutò a organizzare una performance con 500 studenti provenienti da tutta la regione, e una partecipatissima conferenza pubblica di Michelangelo Pistoletto. Fu in quell’occasione che disponemmo gli studenti lungo i tre cerchi che costituiscono il simbolo del Terzo Paradiso. Il simbolo disegnato da Pistoletto che coniuga gli opposti, che omogeneizza natura e cultura, maschile e femminile, destra e sinistra, trovando la via dell’armonia. Il Terzo Paradiso dà indicazioni comportamentali su una possibile terza via laddove vi siano insanabili conflitti. Essere al centro del cerchio centrale – chiedendo ai figli e nipoti delle vittime della guerra di meditare, di prendersi la mano, di ballare e correre, per caricare i loro cuori di luce – fu uno dei momenti più intensi della mia vita. E il rito si svolse proprio lì, nella città assediata dove anni prima trovai il due di cuori.
Manuela Gandini, Leo Castelli, Fernanda Pivano, Milli Gandini
Al Gallery Night, Milano 1990.
Nella mia esperienza i binomi arte e vita, conoscenza e caso, razionalità e medianità, si sono sempre mescolati generando i fiori del tempo. Amo immergermi nelle parole e nelle immagini di Patty Smith, Chen Zhen, Bob Rauschenberg, Dennis Oppenheim, Nanda Vigo, Nam June Paik, Yoko Ono. Molti di loro li ho incontrati di persona, con alcuni ho lavorato, altri li ho solo sfiorati. Joseph Beuys diceva che l’arte, come la matematica, dovrebbe essere insegnata a tutti sin dalle scuole elementari. L’ortolano, la portinaia, l’impiegato dovrebbero conoscerla perché aiuta ad accrescere la consapevolezza di sé. Dove c’è violenza manca poesia. Ho parlato ripetutamente con Marina Abramović, colei che ha compreso che l’arte sarebbe stata pura trasmissione di energia. Così fece al Moma con la performance “The Artist is Present” (2010) nella quale, immobile e in silenzio, per due mesi e mezzo ha guardato negli occhi migliaia di persone. Per molti è stata un’esperienza sconvolgente, intima, straniante o commovente. E anche in questo caso c’è il numero due, un due di cuori, lei e l’altro. Nel mio percorso non è mai mancato l’aspetto etico e politico. Ho scritto libri e cataloghi e ho lavorato per la rivista “Alfabeta2” con Umberto Eco e Nanni Balestrini, assorbendo da loro i linguaggi eversivi della neoavanguardia. Nanni è stato mio mentore e sodale. La sua capacità di sbugiardare e scarnificare il linguaggio piatto e unilaterale dei media, mostrandone la pericolosità, è oggi più che mai strumento di resistenza attiva contro la banalità del male. Quando, durante la tragica crisi dell’economia greca, chiesi a Jannis Kounellis se ci fosse secondo lui una via d’uscita, mi rispose con il suo accento da marinaio: “solo ascoltando il respiro dell’altro e il suo calore”. Ancora una volta è riapparso il due di cuori.
Testo di Manuela Gandini.
Foto: Casa ed Eleganza, Pierluigi Di Pietro, Fabrizio Garghetti, Velija Hasanbegovic.