Continua dall’episodio precedente
È qui necessario considerare cosa dice la scienza in proposito. Scrive Carlo Rovelli nel suo Ordine del Tempo: “Non possiamo pensare la durata come continua. Dobbiamo pensarla discontinua, non come qualcosa che possa fluire uniformemente, ma come qualcosa che in un certo senso salta da un valore all’altro. Il tempo minimo è chiamato il tempo di Planck. Il suo valore si stima facilmente combinando le costanti che caratterizzano i fenomeni relativistici gravitazionali e quantistici. Insieme queste determinano il tempo di 10-44 secondi: un centomilionesimo di un miliardesimo, di un milardesimo, di un miliardesimo di un secondo”.
Questo è il tempo di Planck. È come se il tempo fosse granulare invece che continuo. Per il nostro occhio, nel Quadro specchiante così come per il movimento cinematografico, il valore granulare del tempo da noi direttamente percepito è pari a un ventiquattresimo di secondo.
Qui siamo dentro a un’opera d’arte che funziona come una macchina del tempo. Dicevo che noi siamo astronauti alla guida di questa macchina.
Il Quadro specchiante è un veicolo del pensiero che viaggia alimentato da un propellente composto da una miscela di due elementi: uno è il tempo che si rispecchia direttamente, il secondo è il tempo artificialmente fissato dalla fotografia. Nel nostro caso, la fotografia che sostituisce la pittura è un prodotto della tecnica, la cui etimologia proviene dal greco techne e significa arte. Per techne si intende la traduzione del pensiero percettivo in pratica realizzazione.