Nell’ottobre 1975, con la prima delle dodici mostre intitolate Le Stanze ho identificato nello specchio esposto il fenomeno dell’unicità, dell’unità e quindi della singolarità. Cioè in quella mostra tutti gli elementi presenti erano verificabili nel loro doppio attraverso il riflesso dello specchio; soltanto lo specchio dimostrava di non potere raddoppiare se stesso. In conseguenza di questa considerazione ho capito che per dare allo specchio il suo doppio dovevo dividerlo in due parti. Sono intervenuto tagliando lo specchio insieme alla cornice in cui lo avevo posto, così le due mezze parti della cornice, rimanendo attaccate ai due specchi, testimoniavano l’unità da cui questi derivavano.
Una serie di lavori ed operazioni sullo specchio tagliato sono proseguite in vari luoghi e circostanze, da Corpus Christi (U.S.A.) ad Aalborg in Danimarca. Contemporaneamente procedevano gli interventi della “Collaborazione” iniziata nel 1967 col manifesto di apertura del mio studio, in questo modo si delineano i paralleli tra una parte teorica del mio lavoro e una parte pratica. La parte teorica è rappresentata dallo specchio e la parte pratica è costituita dalla collaborazione.
La mia individualità paragonata all’unicità dello specchio si divide e si moltiplica nella creazione a due, così come dividere e moltiplicare lo specchio. Similmente alle due parti dello specchio che si riflettono l’una nell’altra moltiplicandosi all’infinito, la collaborazione offre un rapporto creativo che si allarga in una molteplicità di incontri. La creatività diventa anche procreazione. “Per creare bisogna essere in due”, questa frase, che ho scritto nel 1977, mette infatti in relazione la creatività artistica con la procreazione. Mentre un’altra frase che avevo scritto nel 1969 diceva: “La luce non sa di esistere se non trova un corpo su cui posarsi”, questa indica la connessione tra la dimensione cosmica dell’energia e la presenza dell’arte; nel senso che la vita, come la luce, ha bisogno di un corpo, l’arte, su cui posarsi. L’arte riflettendo la vita rende all’energia la capacità di identificarsi. Mi sembra chiaro che lo spazio in cui si attua questa riflessione non è né limitato né esclusivamente individuale ma è lo spazio cosmico della totalità e quindi di tutti.
A Firenze per la mostra dell’anniversario di Brunelleschi, aperta nei chiostri di Santa Maria Novella nell’ottobre 1977, avevo progettato di porre uno specchio come pala d’altare ma ho cambiato idea dopo aver visto il rischio di essere frainteso che veniva dal ridondante uso di specchio fatto dagli architetti nella stessa mostra. Ho poi realizzato quel lavoro a San Sicario dove ho collocato uno specchio al posto del quadro che stava nella cornice barocca sull’altare della chiesa. Infatti, come avevo sostituito all’inizio degli anni Sessanta lo specchio alla tela, sulla parete della casa, della galleria d’arte e del museo, ora ho sostituito con lo specchio la tela che sta sull’altare. Credo che la ragione per cui avevo reso speculare la tela comportasse anche una curiosità di tipo spirituale.
Cioè volevo vedere la verità al di là (o forse meglio al di qua) delle leggi e dei dogmi sempre troppo definitivi e contemporaneamente troppo provvisori. Dunque, lo specchio sull’altare non prende il posto di un soggetto generico ma si sostituisce ad un soggetto preciso, per lo meno ad un tematica di soggetti che riportano all’immagine del dio.
Lo specchio è un simbolo che è contemporaneamente anti-simbolo. Esso è semplicemente l’estensione sia fisica che intellettuale del fenomeno umano: dall’occhio alla mente, alle azioni, la persona è tutta una serie di riflessi e riflessioni. Ed intanto le possibilità di rispecchiamento non sono contenibili in una dimensione limitata, ma uno specchio riflette potenzialmente ogni luogo e continua a rispecchiare anche quando e dove non è presente l’occhio dell’uomo. Quindi lo specchio, sull’altare o no, ma comunque nell’ambito dell’arte, diventa il punto d’incontro tra il fenomeno specchiante e riflessivo umano e la realtà universale che lo specchio stesso è capace di riflettere. Cioè lo specchio fa da tramite tra il visibile e il non visibile estendendo la vista oltre le sue apparentemente normali facoltà.
Lo specchio, nelle stanze o sull’altare espande le caratteristiche dell’occhio e la capacità della mente fino ad offrirci la visione della totalità. Per me esiste un solo specchio, diviso e qui moltiplicato in quanti specchi si possono trovare. La dimensione dell’uomo va vista in questa possibilità di espansione fino all’universale e contemporaneamente di riduzione al particolare. Da un’originaria sensibilità creativa nascevano le antiche immagini divine che erano una trasfigurazione spettacolare e stimolavano, attraverso l’immaginazione, una percezione unificante ed un’intesa comune. Le immagini divine si sono cristallizzate nella loro codificazione fino al punto d’essere utilizzate in maniera contraria alle ragioni che le avevano originate. È così che l’arte si è allontanata dal contesto attivo della società. Nello specchio l’uomo e Dio entrano nella stessa dimensione, ma escono dal dogma. Dalla libertà e responsabilità individuale rappresentate dallo specchio nasce, non un’immagine fissa né dell’uomo, né del divino, ma l’attività creativa estendibile a tutti.
Gli atti d’espressione e comunicazione devono da una parte guadagnare in qualità e dall’altra devono continuamente mantenere l’originale stimolo senza adattarsi alla fossilizzazione del simbolo. Le barriere dei codici ufficiali che rinchiudono la società, a lungo andare finiscono per atrofizzare le possibilità dinamiche d’interpretazione dei codici stessi giungendo fino a renderne illeggibili i termini. Questo provoca da un lato l’alienazione e dall’altro la rivolta. Mentre invece l’arte pur dando origine ai codici che essa stessa usa ne sa mutare i termini convenientemente e al momento giusto.
L’arte ha perso la sua autonomia nel tempo, rappresentando le forme del potere, e la gente ha perso la capacità d’intendersi secondo la sensibilità dell’arte. Al principio del nostro secolo, l’arte ha ritrovato la propria autonomia (con le avanguardie storiche) cessando di rappresentare le immagini del potere religioso e politico, ma è rimasta distante dalla gente perché l’autonomia ha raggiunto soltanto l’aspetto estetico. È venuto ora il momento di dare all’arte la sua autonomia anche in senso pratico. Nel momento in cui si stanno recuperando i personaggi e le immagini carismatiche da riproporre ad una massa di gente sempre più spaventata o ridotta all’alienazione, l’arte deve acquistare una propria autonoma forma di potere. L’arte assume la religione vuol dire che l’arte fa dichiaratamente propria quella parte rappresentata dalle strutture che amministrano il pensiero (come la religione). Questo non per sostituirsi ad esse ma per sostituire ad esse un diverso sistema di interpretazione destinato ad estendere nella gente la capacità di esercitare autonomamente le funzioni del pensiero.
Con la Divisione e moltiplicazione dello specchio intendo procreare nel senso di una nuova famiglia.
Io credo che la famiglia, struttura primaria della società, debba ritrovare la sua ragione d’essere. Gli individui sono la divisione dell’entità unitaria da cui inizia la moltiplicazione della progenie. La divisione dello specchio vuole dimostrare in arte lo stesso principio e lo stesso processo.
Lo specchio posto in ogni casa, può riflettere tutta l’umanità, perciò lo specchio che ognuno usa è già il grande specchio diviso e moltiplicato. Ognuno ha un’opera d’arte in casa: lo specchio.
Ed è fecondando questi specchi che intendo allargare la famiglia dell’arte. Bisogna avere il coraggio di essere padre quando questo significa da una parte sicurezza sulla centralità universale dell’arte e, dall’altra, moltiplicazione di questa sicurezza nella coscienza individuale degli altri (questo senza accrescere la propria dimensione, cioè dividendola continuamente).