L’Arte Povera è l’ultimo dei movimenti artistici del Novecento. Questi sono iniziati con l’Impressionismo, nato in conseguenza dell’avvento della fotografia, capace di riportare direttamente l’immagine del reale senza bisogno di passare attraverso l’artigianalità della mano. In quest’ottica, molti artisti del ventesimo secolo si sono chiesti se l’arte avrebbe ancora avuto ragione di esistere. E quindi è nata un’attività di introspezione dell’arte stessa tesa a scovare quelle che sono le ragioni essenziali e profonde della pittura e della scultura, superando così la tradizione raffigurativa e la riproduzione sia manuale sia meccanica del mezzo fotografico. Tra i movimenti principali possiamo nominare Cubismo, Surrealismo, Futurismo, Espressionismo e Astrattismo fino alla Pop Art, di cui ho fatto parte con i Quadri specchianti, realizzati a partire dal 1962.
La collezione di Arte Povera di Michelangelo Pistoletto.
Albero di 7 metri di Giuseppe Penone, 1970, legno, 748 x 20 x 8 cm.
Casa di Michelangelo Pistoletto, Torino, 1971.
Foto: Paolo Mussat Sartor.
Giovanni Anselmo, Senza titolo, 1968,
granito, lattuga, filo di rame, segatura, 90 x 40 x 40 cm.
Foto: Enrico Amici.
Con gli Oggetti in meno, che costituiscono un gruppo di opere a cui ho lavorato tra la fine del ‘65 e l’inizio del ‘66, avviene un superamento dell’opera d’arte intesa come idea, immagine e metafora. Gli Oggetti in meno vengono ad esistere attraverso un passaggio immediato e diretto dal possibile all’essere; ogni opera nasce senza alcun riferimento culturale, intellettuale e formale e si produce come genesi spontanea senza previsione, meditazione, relazione o verifica.
Ogni oggetto che nasce prima non c’era, ma era possibile. Dunque viene ad essere.
Luciano Fabro, Italia fascista, 1969,
ferro, carta stradale, cavo d’acciaio, morsetto, 146 x 74 x 0,6 cm.
Foto: Enrico Amici.
La collezione di Arte Povera di Michelangelo Pistoletto.
In primo piano Igloo di Mario Merz, 1969,
ottone, argilla, 310 cm di diametro, 167 cm di altezza.
Sullo sfondo Maria Pioppi e le culle delle due gemelle, Armona e Pietra.
Casa di Michelangelo Pistoletto, Torino, 1971.
Foto: Paolo Mussat Sartor.
Germano Celant nel suo manifesto dell’Arte Povera identifica negli Oggetti in meno la matrice del movimento. Lo stesso ho ritrovato nei lavori di alcuni artisti torinesi, a partire dall’inizio degli anni ‘70, questa essenza dell’essere realizzata in modi differenti a seconda della disposizione individuale. Arte Povera non significa diminuire o detrarre, ma raggiungere l’essenza, intesa come l’essenziale. Personalmente ho descritto l’Arte Povera non solo come espressione minimale, ma radicale, in riferimento alla radice fenomenologica dell’esistente, che dal seme nella terra fa nascere l’albero. Nella collezione di opere di Arte Povera che ho donato a Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, l’Albero di 7 metri di Giuseppe Penone ne è un esempio: non è un albero scolpito nel legno, ma è l’albero stesso ricavato ed estratto dall’interno di una trave. Desiderai acquisire fin da subito i primi lavori di Arte Povera, perché li sentivo coerenti col mio pensiero. Le opere esposte a Cittadellarte – Fondazione Pistoletto a Biella sono tra le prime realizzate dagli artisti Giovanni Anselmo, Luciano Fabro, Mario Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone e Gilberto Zorio.
Giulio Paolini, Nullus enim locus sine genio est, 1969,
rame, 22 x 28 x 0,4 cm.
Foto: Enrico Amici.
La collezione di Arte Povera di Michelangelo Pistoletto.
In primo piano Odio di Gilberto Zorio, 1969,
elemento in piombo, 6 x 61 x 14 cm, corda lunghezza variabile.
Al fondo Italia fascista di Luciano Fabro.
Casa di Michelangelo Pistoletto, Torino, 1971.
Foto: Paolo Mussat Sartor.
Di Giovanni Anselmo abbiamo una scultura di marmo che abbraccia una lattuga, la quale dev’essere cambiata quasi giornalmente. Poi c’è un parallelepipedo di ferro su cui è proiettata la diapositiva con la scritta “dissolvenza” e la parola “dissolvenza” dissolve nel tempo il metallo su cui è proiettata.
Di Luciano Fabro abbiamo L’Italia fascista: una carta geografica politica del tempo del fascismo, che, ritagliata nella sagoma dello stivale, è appesa al contrario a un cappio.
Di Mario Merz abbiamo Igloo, costruito con tubi idraulici collegati strutturalmente seguendo i numeri della formula matematica di
Fibonacci.
Gianni Piacentino, Amaranth triangle frame vehicle with gray tank, 1970,
smalto su ferro, gomma, 340 x 67 cm.
Foto: Enrico Amici.
Salvo, Io sono il migliore, 1970, granito, 80 x 100 x 2 cm.
Foto: Enrico Amici.
Salvo, Simile non identico, 1970-73,
granito, tre elementi, 25 x 40 x 2 cm ciascuno.
Foto: Enrico Amici.
Di Giulio Paolini abbiamo una targa con scritto “Nullus Enim Locus Sine Genio Est” posizionata nel vano di una porta.
Di Giuseppe Penone, oltre all’Albero di 7 metri di cui ho già parlato, c’è Barra d’aria, un parallelepipedo di vetro trasparente che buca e attraversa il vetro di una finestra che guarda verso l’esterno. C’è anche Svolgere la propria pelle, emulsione fotografica su vetro, che presenta in dieci riquadri l’intera superficie del suo corpo.
Di Gilberto Zorio c’è Fluidità radicale, costituito da quattro immagini fotografiche e uno strumento in piombo. Quest’ultimo lascia impresso sulla mano la parola “Radicale”, che avviene nell’atto di sollevare in alto l’oggetto. C’è anche Odio: la parola “odio” è formata da una corda impressa a martellate in un elemento in piombo e i due capi della corda sospendono l’opera come un’altalena.
La collezione di Arte Povera di Michelangelo Pistoletto.
Mario Merz, Fibonacci, 1970,
luci al neon, dimensioni variabili.
Casa di Michelangelo Pistoletto, Torino, 1971.
Foto: Paolo Mussat Sartor.
Nel 1971 a questa collezione è stato dedicato l’intero appartamento dove abitavamo, consistente in 350 metri quadri divisi in nove grandi stanze, nel centro di Torino. Lì abbiamo convissuto per alcuni anni con le opere, che erano l’unica forma di arredamento. Merz aveva anche realizzato un’opera su una scala interna dell’appartamento con i numeri della serie di Fibonacci e che ora esiste solo in documentazione fotografica. Nello stesso anno, inoltre, sono nate le nostre figlie gemelle Armona e Pietra; le loro culle di vimini venivano ogni giorno portate in una diversa stanza della collezione. Nell’appartamento avevamo solo un letto e un grande tavolo in cucina, attorno al quale si riuniva il mondo dell’arte e incontravamo gli amici artisti.
Quelle sono le opere esposte dal 1998 quì a Biella. In mostra a Cittadellarte sono anche presenti i lavori di due artisti che non facevano parte dell’Arte Povera ma che stimavo e negli stessi anni lavoravano a Torino. Si tratta della “bicicletta” di Gianni Piacentino e alcune targhe in marmo di Salvo, che riportano le seguenti scritte: “simile ma non identico”, “io sono il migliore”, “idiota”, “mangiarsi”, “gettare via”.
Testo di Michelangelo Pistoletto, a cura di Luca Deias