La Terza Pagina del nostro Journal si tinge sempre più di arte e cultura con nuovi contenuti autorevoli, in linea con le peculiarità della sezione. Finora abbiamo pubblicato una serie di testi che hanno avuto come firma lo staff interno di Cittadellarte (Pistoletto e Paolo Naldini, in particolare), gli ambasciatori Rebirth/Terzo Paradiso o personalità/professionisti che hanno scritto nel nostro magazine online contributi multidisciplinari, in cui ogni articolo ha visto protagonista l’arte capace di innestare una trasformazione sociale responsabile, in linea con la mission e la pratica di Cittadellarte. Alla base di tutto, naturalmente, c’è lui: Michelangelo Pistoletto. Inizia oggi una speciale rubrica che andrà a mettere in luce passato, presente e, perché no, futuro del maestro biellese attraverso la sua cronistoria artistica, approfondimenti, analisi e testi curatoriali, per ripercorrere, in queste righe digitali, le tracce lasciate da Pistoletto non solo in una dimensione che concerne il mondo dell’arte, ma in ogni ambito del tessuto sociale. In questo primo capitolo, esploriamo La formazione di Pistoletto, anche attraverso l’intervista con U. Allemandi (in Bolaffi Arte, n. 57, Milano 1976).
—
Michelangelo Pistoletto nasce il 25 giugno 1933 a Biella, dove il padre, Ettore Olivero Pistoletto, originario di Gravere di Susa, si era trasferito per realizzare alcune opere tra cui una serie di graffiti sull’arte della lana nello stabilimento Ermenegildo Zegna a Trivero. A Biella il padre conosce Livia Fila, che diventa sua allieva e che sposa nel marzo del 1932. Un anno dopo la nascita di Michelangelo la famiglia si trasferisce a Torino, dove il padre continua a dipingere e parallelamente apre uno studio di restauro di opere d’arte. Durante i bombardamenti del 1943, dopo che un ordigno aveva colpito lo studio, la famiglia si sposta a Susa, dove resta fino al termine del conflitto.
Michelangelo apprende dal padre a disegnare fin da bambino e a 14 anni inizia a lavorare al suo fianco. La conoscenza così acquisita della tradizione pittorica occidentale sarà riconosciuta dall’artista come fondamentale nella sua formazione. A diciotto anni la madre lo iscrive alla scuola pubblicitaria di Armando Testa, una delle più prestigiose e innovative in Italia.
Michelangelo Pistoletto, a tre mesi, in braccio alla madre, Livia Fila. Sullo sfondo un autoritratto del padre, Ettore Olivero Pistoletto (Biella, 1933).
Michelangelo Pistoletto con il padre, lungo il fiume Po (Torino, 1942).
“Mio padre è diventato sordo a otto anni per una meningite, ha cominciato a guardare il mondo più che sentirlo. (…) In classe, forse era la terza elementare, mentre la maestra spiegava lui non sentiva e allora copiava l’affresco di una Madonna che vedeva dalla finestra. Di lì ha iniziato a disegnare, e da allora nella nostra famiglia si è privilegiato l’occhio. Ha studiato il restauro per avere una base economica ma ha sempre dipinto per conto proprio, non per farne una cosa pubblica, anche se ha fatto delle mostre (…) A quattordici anni ho cominciato a lavorare con lui. L’operazione che ho fatto sulla storia dell’arte, così vissuta, istante per istante, sui quadri antichi, credo che sia la migliore scuola che si possa fare. (…) Sono passati nel nostro studio centinaia di quadri importantissimi, di tutti i tempi, su cui c’erano talvolta dei grossi problemi conoscitivi da risolvere per affrontare il restauro nella maniera migliore. (…) Mio padre voleva sempre che dipingessi, ma io avevo deciso che non avrei mai fatto il pittore se la pittura era quella. Mio padre faceva dei paesaggi e delle nature morte e voleva che facessi quelle cose lì. Gli ho detto che non le avrei mai fatte, perché non mi interessavano (…) Ero abile a disegnare e Armando Testa mi aveva chiesto di entrare nel suo studio pubblicitario. Io invece dopo un anno ho deciso di mettere su per conto mio uno studio pubblicitario che ho portato avanti per qualche anno, perché cercavo una mia indipendenza, anche se continuavo ad aiutare mio padre; facevo questi due lavori opposti, per un certo periodo, tutti e due basati sul disegno, sul colore, sull’immagine, però uno di totale conservazione e l’altro di propulsione. Sono convinto che i miei quadri specchianti dipendano da tali esperienze.”
(M. Pistoletto, intervista con U. Allemandi, in Bolaffi Arte, n. 57, Milano 1976)