Lo scorso weekend, nel capoluogo lombardo, si è tenuto il ‘White Street Market’, l’appuntamento italiano dedicato alla ‘moda di strada’. La kermesse, durata tre giorni, ha avuto tra i suoi protagonisti Cittadellarte (tutti i dettagli in un nostro precedente articolo) attraverso l’allestimento della ‘Venere degli Stracci’ e la partecipazione– tramite Fashion B.E.S.T. – di brand e fashion designer già riconosciuti per il loro percorso sostenibile, che hanno presentato le proprie collezioni e il laboratorio di produzione dal vivo di WRAD, che univa stracci e t-shirt sostenibili seguendo l’ispirazione dell’opera di Pistoletto e della filosofia di Fondazione Pistoletto. Si tratta di Tiziano Guardini, Bav Tailor, Nadia Shaulova, Giada Daolio (con Debatelier), Silvia Giovanardi e Matteo Ward (con WRAD) e Flavia La Rocca. Per l’occasione Paolo Naldini, direttore Cittadellarte, è stato tra i relatori della talk titolata ‘Sustainable lifestyle’.
Naldini, ha offerto alla platea di esperti e appassionati di moda e arte una lettura inedita del rapporto tra moda e arte oggi: “L’arte produce miti e riti. I miti, evocano ricordi scolastici, Omero e l’Iliade, ma in realtà essi sono ovunque, pervadono e strutturano la nostra vita nel quotidiano. Vi do un esempio penetrante: consideriamo il progresso, è l’idea di ‘andare sempre avanti’, e quindi produrre di più, più veloce, più grande, più alto…ecc. Questo è stato un mito che ha dato forma, in maniera diretta e vera, alla nostra realtà; ci si alzava alla mattina con questa inconfessata certezza! E la sua storia, la sua narrazione, è stata costruita da pensatori, organizzatori, creatori e… sì! Anche da artisti. L’inizio vero di questo mito è la nascita della prospettiva scientifica a Firenze – un momento storico straordinario in cui l’umano prende il sopravvento rispetto al trascendente -. Qui si aprì il discorso e, con esso, il percorso per ‘conquistare il mondo’. L’epoca delle conquiste (maledette) delle Americhe e delle Indie! Se costruire miti vi sembrava qualcosa che rimaneva fuori dalla realtà, ora è evidente che invece i miti la realtà la costruiscono, perché gli archetipi di pensiero, i paradigmi, che portano con sé, determinano il modo in cui ‘viviamo la realtà’.
Quali sono i miti oggi? Be’, non molto è cambiato in questi decenni… ma l’arte, l’arte è capace di produrre nuovi miti? Cittadellarte ne produce? Ne coltiva e nutre e cura? Volete un mito? Vi parlerò allora del Terzo Paradiso. Che cos’è? Partiamo dal primo paradiso, è il mondo quando l’intelligenza della natura organizzava tutto, tutta la nostra vita sulla terra, e l’uomo era pienamente integrato con essa. Be’, direte, questo è un mito antico. È vero. È un mito che appartiene a molte culture, è forse universale. Andiamo avanti. Se c’è il primo e vi parlo del terzo, ci sarà dunque il secondo paradiso. Da dove viene? A un certo momento l’uomo ha cominciato a ‘estendere il proprio arto’ verso l’ambiente e ha costruito alterazioni artificiali. Da quel momento, è nato un percorso incredibile: la fantasmagorica ventura della tecnologia e della scienza! Questo secondo paradiso è stato, per secoli, un nuovo grande mito. Il secondo paradiso era qui, era nostro! Tutta questa tecnologia ce lo portava in casa, nelle automobili, nei telefonini… Finché non ci siamo resi conto – perché oramai ce ne siamo resi conto tutti, manca solo Trump e qualche altro distrattone – oggi, ormai, è evidente che non funziona più neanche quello! Non è sostenibile. Allora? Che si fa adesso? C’è bisogno di un terzo paradiso, di un nuovo mito. Ma come si fa? Quale sarà? È più semplice di quanto si pensi. È fatto dall’unione, dalla fusione armonica tra i due grandi miti precedenti, non si butta via niente. Il terzo paradiso è il tempo in cui l’intelligenza umana si integra con la natura. Il mito del Terzo Paradiso è questo: reintegrare la natura impegnando l’intelligenza umana. E salvare l’umano attraverso l’intelligenza della natura”.
Naldini è quindi passato alla seconda parte del suo intervento, riti: “Che cosa sono i rituali? Una storia antica e meravigliosa, che non smette di stupire e affascinare. Il rituale innanzitutto significa performare. Fare un’azione. Il rito non si legge. O vede, si fa. Anche il rito sembra una cosa da chiesa e mondi ancestrali. Ma niente di più sbagliato. Il rito è dappertutto, ora. Per esempio il mangiare o dell’incontro. O quello tanto diffuso da essere quasi universale come il sesso: il consumo! Il rito del consumo si insinua ovunque e porta codici e simboli e comportamenti precisi. Abbiamo parlato del mito del progresso e poi di quello del Terzo Paradiso. Ora parliamo del mito del consumo. Sarà capace l’arte di creare riti che possano superare, assorbire, neutralizzare e riproporre il consumo? Abbiamo parlato di performare, ricordate? Il rito si performa abbiamo detto. Allora parliamo della moda. La nostra seconda pelle. È un costume. Lo indossiamo. Che cosa sono i costumi? Non sono forse gli usi, i comportamenti? Allora, perché dovremmo separare il costume che indossiamo dal costume che assumiamo come comportamento? Questo rito di cui vi voglio parlare vuol dire che non basta più comprare e indossare un costume o un abito sostenibile; io lo devo, appunto, performare. Quotidianamente devo seguire quello che l’abito rappresenta. Se indosso un abito sostenibile ma mi comporto in maniera non responsabile, origino una contraddizione non più accettabile. Un fashion designer, un label, hanno creato con sogno e lavoro un abito sostenibile e io che lo scelgo e lo porto, come mi comporto? Il portamento e il comportamento non possono più andare uno da una parte e uno dall’altra. Come possiamo tradire così chi ha prodotto questo costume? Scostumati, siamo, se così agiamo. Ora, il presente ci chiede una cosa: performare il costume. Se di costume sostenibile si tratta, e per questo lo sceglieremo, per la sua sintesi eroica di bellezza e giustizia, allora ci spetterà l’onore del rito, il rito della sostenibilità. Indosseremo questo costume come con il mantello, la veste di un nuovo supereroe. Ma non pensate a Superman: oggi i supereroi siamo noi quando ci mettiamo una veste sostenibile e la performiamo. I superpoteri non ci fanno attraversare muri di cemento, né fermare aerei o missili. Ma un treno in corsa sì! Il treno lanciato cieco verso la il mito estinto del progresso senza fine lo fermeranno quelli che performeranno il costume della sostenibilità in ogni azione della loro eroica quotidianità!
Dopo questa lectio che ha riscosso l’entusiasmo degli appassionati presenti, il moderatore ha chiesto al direttore della Fondazione Pistoletto maggiori informazioni sulle attività di Cittadellarte Fashion ‘B.E.S.T.’: “È l’acronimo di Best and Ethical Sustainable Trend. Innanzitutto è un luogo di incontro tra designer e imprese. A Biella, il cuore dei distretti industriali lanieri europei, dove ancora oggi si fabbricano tessuti di straordinaria qualità, non solo di lana. Nel nostro territorio ci sono fabbriche dove si performa la sostenibilità primaria, quella della manifattura, che significa acqua, energia, chimica e naturalmente lavoro. Però non ci sono tanti designer. A Cittadellarte, facciamo convergere designer e artisti di tutto il mondo, persino da Biella, e li mettiamo in relazione con i produttori che aprono le frontiere della sostenibilità e le agenzie nazionali come Camera della Moda e internazionali come Sustainable Apparel Coalition, per gare un esempio tra i molti, e istituzioni come Sistema Moda Italia o le Nazioni Unite. Un hub per accompagnare il loro sviluppo, insieme fashion designer, imprese, artisti, social change entrepreneurs, istituzioni, accademie…”
Naldini ha concluso contestualizzando la partecipazione ‘attiva’ di Cittadellarte al White Street Market: “Stiamo presentando un connubio tra sustainable designer che propongono le loro collezioni e ricerche, personali e di gruppo. Questo è un altro mito che nasce: non si compete contro, ma con gli altri. Pensa a Achille! Non è tempo di eroi, per parafrasare Brecht. O meglio: non degli eroi che ci hanno cantato le epiche passate”.
“Nello stand di B.E.S.T. è presente anche la Venere degli stracci di Pistoletto?“, ha chiesto il moderatore.
“È l’opera che i designer hanno scelto. Gli stracci uniscono alla bellezza canonica della statua classica, ma insieme diventano qualcosa di nuovo. La bellezza iconica nuda non è da sola, né soli sono gli stracci abbandonati e dismessi: piuttosto insieme trovano un rapporto, un’intesa, un equilibrio che non è mai esistito prima. Ogni creazione è questo: mettere insieme elementi diversi, a volte anche opposti, e generare da questo incontro scontro un inedito equilibrio. Ma serve una perfetta combinazione. Una sapiente composizione. Una maestria. Un’arte, appunto”.