“Quattro pezzi (non tanto) facili”, Pistoletto e Verzotti si confrontano sulla mostra
Vi proponiamo un dialogo fra il maestro e il curatore che verte sull'esposizione "Quattro pezzi (non tanto) facili", inaugurata venerdì 1 luglio 2022 a Cittadellarte in occasione della rassegna "Arte al Centro" e proposta in collaborazione con la Woolbridge Gallery.

Michelangelo Pistoletto e Giorgio Verzotti a tu per tu: l’artista e il curatore, in una conversazione informale e immersiva, si sono concentrati sulla mostra collettiva Quattro pezzi (non tanto) facili, a cura di Giorgio Verzotti in collaborazione con “Woolbridge Gallery”, uno spazio creativo biellese all’interno dell’antico Lanificio Pria. La relazione tra la Fondazione Pistoletto e la galleria diretta da Jean le Guyader e Patrick Saletta si è creata nel novembre 2021, quando, all’interno degli spazi della Woolbridge, si è tenuta la mostra “Zona Bianca Zero” a cui Michelangelo Pistoletto ha partecipato. Per questo motivo, con l’intento di favorire la collaborazione tra la Fondazione e altri centri artistici biellesi, sono state scelte alcune delle opere realizzate da quattro artisti che avevano partecipato all’esposizione collettiva del 2021. Come riportato in un nostro precedente articolo, durante Arte al Centro 2022 è stato possibile visionare i lavori dei seguenti autori: le sculture dai minimi, quasi sensoriali, rilievi di Massimo De Caria accanto alle sue opere create in funzione degli accostamenti tra vetro, acqua e metalli; Daniele Innamorato che, con alle spalle le nozioni da fotografo e graphic designer, ha dato origine ad una pittura impetuosa, su tele di grandi dimensioni, caratterizzata dalla vitalità dei colori; Filippo Berta, invece, ha proposto un video intitolato “Gente Comune”, le cui riprese mettono a confronto l’osservatore con l’aspetto dispotico ed oppressivo del mondo globalizzato, tra divisioni e disuguaglianze; infine, Carlo e Fabio Grassia hanno coniugato una sapienza tecnica nel rendere i minuscoli brani di realtà dei loro minuziosi disegni con una grande inventiva nell’attribuire valori metaforici e significati profondi ai materiali plastici con cui realizzano sculture e installazioni.
Per conoscere e approfondire contenuti e peculiarità della mostra vi proponiamo il dialogo tra Pistoletto e Verzotti.

Michelangelo Pistoletto: Cominciamo dal titolo? Perché “Quattro pezzi non tanto facili”?
Giorgio Verzotti: Non sapevo bene con che chiave leggere lavori tanto diversi, così pensavo a un titolo che alludesse subito alle differenze, quattro artisti diversi, quattro pezzi… mi è subito venuto in mente il libro di Richard P. Feynmann, il fisico, che si intitola però “Sei pezzi facili”, facili nel senso che il suo saggio è di taglio divulgativo. Nel nostro caso però i “pezzi” non sono tanto facili, per cui ho aggiunto la parentesi che dà anche un tono ironico al tutto e mi sembra appropriata. Anche perché il libro di Feynmann sarà anche facile, ma io non ci ho capito niente lo stesso.



PistolettoParla di fisica delle particelle? Di microstrutture? Credo che sia una chiave di lettura appropriata per interpretare le opere di Carlo e Fabio Ingrassia, Massimo De Caria, Filippo Berta e Daniele Innamorato. Per esempio, Carlo e Fabio, i gemelli siciliani. Per me il loro lavoro in punta di matita sembra quasi una biotecnica, una pratica organica. Parlando di microstrutture, pensa alla formazione delle cellule: per me loro due sono un fenomeno biologico, sono una cellula divisa in due che si ricompone nell’operatività. Nell’opera d’arte infatti il loro gemellaggio si ricompone continuamente, come in uno stesso uovo… Senza la loro biologia gemellare un simile lavoro non esisterebbe. Poi c’è la tecnologia, direi che Carlo e Fabio traducono la biologia in tecnologia.
Verzotti: Ore di lavoro al tavolo da disegno con la lente di ingrandimento in mano, ognuno con la matita, lavorano su una piccolissima superficie e creano quelle immagini perfette. Uno definisce il segno e l’altro lo raccorda come dicono loro stessi. Uno dei due è mancino. Sì, anche io li vedo come un organismo unico articolato in due funzioni complementari.

Pistoletto: Esatto, e trovo interessante che sia questa fisiologia a produrre immagini. C’è il fenomeno immaginifico della pittura, quella che ha origini antiche. C’è la rappresentazione artistica, se prendo quel micro paesaggio che hanno realizzato a pastello, sembra una perfetta riproduzione fotografica: tu la guardi e pensi “questa è una fotografia”, sono tutte immagini piccolissime e perfette. Se però le potessimo ingrandire, estendendole a dimensione macroscopica, vedremmo tutti i punti, e i segni che hanno tracciato, scopriremmo la materia e la sua fenomenologia, il tessuto cellulare che invece di formare un corpo qui crea un’immagine. Esaminando la tecnica di queste opere possiamo intuire, per relazione, come funzionano la fisica e la chimica. Vedo questa pratica proprio come esempio di generazione dell’essere fisico. Tu hai detto “non tanto facili”: è giusto dirlo, è coerente col loro lavoro a partire dalla sua messa in pratica.
Verzotti: C’è l’idea della trasformazione, della creazione trasformativa dell’esistente, appunto agita fin nella microstruttura, e questo è un tratto comune con Massimo De Caria. Anche nel suo caso, non è facile definire il suo lavoro una volta per tutte perché il connubio fra i suoi metalli e gli elementi naturali – qui è l’acqua – darà sempre dei risultati diversi. Unico resta il processo, l’opera come processualità in atto.

Pistoletto: De Caria interroga la tridimensionalità della scultura come i gemelli Ingrassia interrogano l’immagine, nella sua bidimensionalità, e rimandano alla pittura. Qui la reazione chimica è parte integrante dell’opera nel senso che non c’è rappresentazione, né all’inizio né alla fine del processo, c’è il processo, la trasformazione. Mi interessa questo lavoro perché vi trovo una conferma di quello che penso, e cioè che Arte Povera non sia stato tanto un movimento, quanto un’idea o un’intenzione fondante di arte.
VerzottiUna visione?
Pistoletto: Sì una visione dell’arte dove non c’è più la trasposizione idealizzata nella costituzione dell’opera ma c’è l’essere, il divenire delle cose, c’è la radicalità nel senso di radice, c’è l’essenza delle cose. Per me questa era la ragione fondamentale dell’Arte Povera, il passaggio dal rappresentare all’essere. Queste sculture mi interessano perché molto vicine al concetto trinamico: sono elementi che, connessi, producono qualcosa di nuovo, sono la creazione intesa come diretta attuazione. O più precisamente la “messa in opera” della creazione. Gli artisti dell’Arte Povera hanno creato opere diversissime fra loro, ma ciascuna aveva questa qualità: essere fenomenologicamente essenziale. Vedo la medesima attitudine nelle opere di questi quattro artisti. Nella scelta che ho fatto per portarli in mostra qui a Cittadellarte non mi sono basato su un ragionamento, ma sulla percezione diretta, immediata, di una fenomenologia che unisce l’arte all’esistente.

Verzotti: Che mi dici del video di Filippo Berta?
Pistoletto: Lui ha tradotto la tensione drammatica del confine da elemento di separazione e di guerra, tra due paesi, in un terzo elemento che sostituisce il contrasto con una sospensione di tempo e di spazio. Berta elimina il conflitto rallentandone il tempo di impatto. Scandisce le parole nelle lingue dei diversi paesi, trasferendole in sequenze di istanti. Crea una quarta dimensione grazie al tempo, il tempo nel suo video unifica ciò che lo spazio separa. E allontana e distribuisce in lunghi tempi le strette frequenze temporali insite nella logica della guerra. Istante per istante, parola per parola, introduce una dinamica temporale che supera la dimensione degli spazi contrapposti.

Verzotti: Possiamo dire che i processi formativi che vediamo in Carlo e Fabio Ingrassia e in Massimo De Caria in Berta diventano relazioni interpersonali che possiamo leggere simbolicamente come dinamiche sociali?
Pistoletto: Non direi solo simbolicamente, ma anche realmente. Berta parte dalle diverse lingue delle diverse persone – e porta tutto al minimo denominatore – che sono le punte taglienti del filo spinato, quelle che recano l’offesa, e ognuna di esse viene contata, le viene assegnato un numero che le conferisce un’individualità umanizzata dalla voce di una persona e, allo stesso tempo, tutte queste individualità vengono comprese in un concetto di umanità molto allargato. Anche qui abbiamo una micro dimensione estesa a livello globale, né più né meno dei disegni degli Ingrassia. Micro e macro insieme!

Verzotti: Vedi che la fisica ritorna!
Pistoletto: Sì, e torna anche nell’opera di Daniele Innamorato. Pittura astratta di segno e colore, ne abbiamo vista tanta vero? Però io una pittura astratta così non l’avevo mai vista. Perché vi trovo componenti che esulano dalla pennellata, dal dripping, dalla distesa di colore, dalla giustapposizione o dal contrasto di toni, dalla molteplicità di segni che possono essere più o meno disfatti. Qui no, qui abbiamo delle piccole convenzioni, ogni segno lo è, ogni segno porta con sé una piccola convenzione, come fossero dei marchi. Non c’è un fiorire di colori e segni che esplodono, non c’è una fioritura formale. Per me queste opere sono come i paesaggi per Carlo e Fabio Ingrassia o l’arte performativa per Filippo Berta. Qui, se guardo bene, non dico al microscopio ma molto da vicino, vedo segni che in sé stessi significano già qualcosa, che hanno una loro emblematicità intrinseca, fanno parte di una sistema di convenzioni che svincolate da altri contesti e riunite in modi sempre diversi creano qualcosa di nuovo. Il colore stesso è sprigionato da queste convenzioni, è la convenzione del colore che crea una nuova armonia. Questa è un’opera musicale composta di dati convenzionali. Il segno qui non è pittorico, la composizione non è mai espressiva; se lo fosse avrei detto: “ah si certo, conosciamo”, e non mi avrebbe sorpreso. Invece qui vedo qualcosa che non conoscevo.

Verzotti: Un’opera musicale infatti è composta da note, sempre le stesse sette, che sono pure convenzioni nella nostra cultura, ma che generano infinite diverse melodie. Innamorato in effetti non è espressivo, quando getta il colore sulla tela sa benissimo che c’è stato Pollock, lui non si esprime, se mai si confronta con la pittura e con la sua storia, che è appunto basata su convenzioni linguistiche.
Pistoletto: Parlo di convenzione come di un concetto di arte che ne definisce l’essenza e la fenomenologia.

Verzotti: Parlavi di microscopio, direi che tutte e quattro queste tipologie di opera potrebbero essere viste al microscopio nel senso che ciascuna a suo modo contiene una realtà segreta, una microstruttura che la sorregge, e parlo sia in senso tecnico che metaforico…
Pistoletto: Direi che ciascuno di loro e ognuno a suo modo va a vedere dentro alla fenomenologia delle materie così come analizza i meccanismi della creazione.

Verzotti: Questa mostra è nata da una contingenza, da un incontro fra te e i quattro artisti nel momento dell’esposizione presso la Woolbridge Gallery, qui vicino. Però vedi come emergono le affinità fra loro, messi insieme da una tua scelta più intuitiva che ragionata, come hai detto. Al momento della presentazione della mostra, qui in luglio, ho parlato appunto di intuizione. Tutta Cittadellarte nasce da una tua intuizione artistica che nel tempo non ha solo creato opere d’arte, ma anche relazioni umane, collaborazione, una attività collettiva che sfocia nel Terzo Paradiso e che è diventata una dinamica sociale con il coinvolgimento delle istituzioni. Allora mi è sembrato giusto dire che in mostra abbiamo offerto al pubblico quattro diverse declinazione di questa intuizione, l’intuizione artistica al suo nascere…
Pistoletto: Io associo l’intuizione artistica a quella dello scienziato, che parte sempre da un’intuizione, un’ipotesi, e poi la verifica con la ricerca, che può portare alla scoperta. Io dico sempre che l’arte è l’elemento fermentativo del pensiero, che nasce dall’intuizione artistica e poi continua a fermentare generando tutte le altre forme del sapere. Sì, è vero, l’intuizione la puoi vedere in tutte le fasi del mio lavoro, della mia ricerca. Mi hanno chiesto se sono felice io che voglio cambiare il mondo con l’arte e ho risposto che a cambiarlo ci sto provando, ci lavoro, e il fatto stesso di lavorarci mi rende felice.